Archivi del mese: giugno 2012

Spreco di energia – spreco di cibo: un circolo vizioso da spezzare


Circa due milioni e mezzo di tonnellate di frutta, duecentomila di carne e cinquecentomila di formaggi, nel 2010 sono finite nelle discariche italiane. Uno spreco denunciato ieri, in occasione della 40sima Giornata Mondiale dell’Ambiente, dal Barilla Center for Food and Nutrition, ma in realtà noto da tempo. Ogni anno, nel mondo,  oltre il 30 per cento della produzione alimentare viene sprecata, sia durante i processi di coltivazione e trasformazione del cibo, sia nelle fasi di distribuzione e di consumo domestico.  Tale dato, registrabile soprattutto nei Paesi più ricchi, ha un impatto disastroso sul sistema energetico ambientale. Si è calcolato, che solo nel Regno Unito, il cibo sprecato comporta l’inutile dispersione di circa 300 litri d’acqua al giorno per ogni cittadino. Ciò in ragione dello stretto rapporto esistente tra tutte le risorse naturali.  Ogni coltivazione implica un notevole consumo idrico e la stessa produzione energetica richiede spesso l’impiego dell’oro blu. Senza parlare dell’inquinamento. Se si riuscissero a dimezzare gli sprechi di cibo, si ridurrebbero le emissioni di gas serra di almeno il 5 per cento (come togliere dalla strada un auto su cinque, in alcune zone del pianeta). Si spreca energia non solo producendo il cibo che non verrà consumato, ma anche gestendo il suo smaltimento. Un insulto alla povertà e all’ambiente che ha drammatici risvolti sociali. La popolazione mondiale infatti cresce di 80 milioni di individui l’anno (siamo oltre 11 miliardi) e come noto oltre la metà non ha accesso a un quantitativo sufficiente di cibo, acqua ed energia.  Di quest’ingiustizia siamo tutti responsabili. Ogni volta che ci sediamo a tavola. Per il cibo che lasciamo sciviolare nella pattumiera, per quello esageratamente superfluo che consumiamo, per quello che compriamo senza pensare, ignorando quanta strada ha fatto per arrivare nei nostri piatti o chi lo ha lavorato. Mangiare in modo più consapevole e responsabile non solo è possibile, ma è doveroso. Per la facoltà di agraria dell’Università di Bologna è diventata una sfida. Qui, infatti, il preside Andrea Segrè e il suo team hanno dato vita ai Last Minute Market, una rete di progetti presente in tutta Italia e volta al recupero di beni invenduti a fini caritativi, e al contempo hanno avviato una fitta serie di iniziative per sensibilizzare istituzioni e opinione pubblica su questo tema. Grazie alla loro mobilitazione, il Parlamento di Strasburgo ha dichiarato il 2014 l’Anno europeo contro lo spreco alimentare”. Come si legge sul loro sito, tutti possiamo fare qualcosa – imprenditori, cittadini e consumatori – per spezzare il circolo vizioso spreco di energia- spreco di cibo. Basta volerlo.

www.lastminutemarket.it
Silvia Gusmano

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Fave e favole

TAGLIATELLE  FAVE, PANCETTA E PECORINO
FINTO POLLO FRITTO
VIGNAROLA
stampa il menù

TAGLIATELLE  FAVE, PANCETTA E PECORINO

ingredienti per 4 persone
500g di tagliatelle fresche
300g di fave sbucciate
150g di pancetta affumicata
50g di pecorino romano grattugiato
vino bianco
una cipolla
qualche foglia di menta
olio, sale, pepe

Sbucciate le fave e sbollentatele per 3 minuti. Scolatele e togliete la pellicina. Tritate finemente la cipolla e  fatela rosolare in padella con 4 cucchiai d’olio, dopo 3/4 minuti aggiungete la pancetta a dadini, appena rosolata, sfumate con del vino bianco. Aggiungete le fave e un goccio d’acqua calda, fate cuocere per 5/6 minuti. Lessate le tagliatelle, scolatele  2 minuti prima per finire di cuocerle in padella con il sugo di fave e pancetta aggiungendo un po’ di acqua di cottura della pasta. Spegnete e aggiungete il pepe, la metà tagliuzzata e il pecorino. (Si può sostituire il pecorino con 150g di ricotta fresca, il gusto sarà più delicato e la pasta più cremosa. Potete aggiungere la ricotta anche con la forma di una quenelle*, al centro di ogni piatto, sopra la pasta). 
*La quenelle è una guarnizione che si fa con qualsiasi impasto o cibo morbido, utilizzando due cucchiai. Si passa l’impasto da un cucchiaio all’altro finché non si ottiene una forma regolare che ricorda una piccola palla da rugby. (http://www.youtube.com/watch?v=MXcIZ4aRHBU)

FINTO POLLO FRITTO

ingredienti per 4 persone
un pollo da circa 1,5 K
due uova
aromi per arrosti
un limone
tre cucchiai di parmigiano
un piccolo mazzetto di erbette miste: rosmarino, salvia, prezzemolo, maggiorana, timo
sale, pepe, noce moscata, olio
pangrattato

Pulite il pollo e tagliatelo a pezzettini (questa operazione può farla il macellaio). Potete rimuovere la pelle per renderlo più leggero. Mettetelo in poca acqua con il succo di un limone per 10 minuti. Scolatelo e tamponatelo con dei fogli di carta assorbente. Mettete in un contenitore le due uova, il parmigiano, un pizzico di noce moscata, un cucchino di aromi per arrosti, le erbette tritate, la buccia grattugiata di un limone, sale e pepe. Amalgamate bene e aggiungete i pezzi di pollo. Coprite con la pellicola trasparente e riponete in frigo per un giorno (girandolo almeno un paio di volte). Tirate fuori il pollo dal frigo e passatelo pezzo per pezzo, nel pangrattato. Adagiatelo su una teglia foderata con carta da forno. Versateci l’olio a filo, avendo cura di bagnare bene tutti i pezzetti. Mettete in forno a 220° per almeno 30 minuti.

VIGNAROLA

ingredienti per 4 persone
3 carciofi
4 cipollotti
300 gr di fave sgranate
300 gr di piselli sgranati
una lattuga
dado, sale, un peperoncino, basilico e menta

Pulire e tagliare i cipollotti finemente e rosolarli  in padella con l’olio ed il peperoncino. Pulire e tagliare i carciofi ed unirli ai cipollotti. Dopo 6/7 minuti aggiungere le fave sgranate, i piselli, la lattuga a striscioline, il sale e coprire con un po’ di brodo (acqua calda e dado). Cuocere per circa 20 minuti. Quando è pronta aggiungere il basilico tritato e la menta.

Se volete preparare un dolce vi consiglio di aggiungere la TORTA FRESCA DI YOGURT E RICOTTA ALLE FRAGOLE che trovate tra le ricette di Valentina, la nostra corrispondente da Lugano. 

LA SPESA
stampa la lista

premesso che in casa abbiamo: qualche foglia di menta, basilico, olio, sale, pepe, noce moscata, dado, peperoncino, un piccolo mazzetto di erbette miste: rosmarino, salvia, prezzemolo, maggiorana, timo, aromi per arrosti, vino bianco

compriamo:
500g di tagliatelle fresche
50g di pecorino romano grattugiato
50g di parmigiano
150g di pancetta affumicata
pangrattato
un pollo da circa 1,5 K
due uova
un limone
1,5 k di fave
3 carciofi
4 cipollotti
300 g di fave sgranate
300 g di piselli sgranati
una lattuga
una cipolla 

se aggiungete la torta:
220g di biscotti frollini
120g burro fuso
250g yogurt alle fragole
250g ricotta vaccina
125g zucchero a velo
il succo ½ limone
400g panna montata
20g gelatina in fogli (colla di pesce)
250g fragole fresche
80g zucchero 

TABELLA DI MARCIA

Il giorno prima preparare il pollo come indicato e conservarlo in frigo. Sbucciare le fave,  sbollentare la metà che servirà per la pasta e privarle della seconda pellicina e conservare in frigo in un contenitore chiuso.Il giorno dopo, anche stavolta basterà un’oretta, preparare le verdure per la vignarola e metterle sul fuoco. Nel frattempo impanare il pollo e metterlo in forno. Appena finito, mettere su la cipolla e la pancetta per il sugo e l’acqua per la pasta. Se volete essere più liberi nell’orario vicino al vostro pranzo, tenete conto che la vignarola si può benissimo preparare un paio d’ore prima, come il sugo per la pasta, stessa cosa per il pollo che si può impanare prima.

Lo sapevi?

FAVE E FAVOLE

Un menù dedicato alle fave, cibo povero, e, a mio avviso, molto gustoso. Le fave sono il frutto di una pianta coltivata già 3000 anni fa, lo testimoniano i rinvenimenti in tombe egizie, a dimostrazione che sono i primi legumi che l’uomo abbia mangiato.  Attraverso Greci e Romani sono giunte a noi, e si sono fatte spazio nelle tavole dei contadini, sopratutto i più poveri. Venivano chiamate la carne dei poveri perché pur costando nulla sono ricchissime di proteine, vitamine, fibre e potassio. Hanno conquistato così un ruolo da protagoniste in molti piatti del sud, come il macco di fave in Sicilia, fave e cicoria in Puglia, la vignarola nel Lazio e tanti altri gustosi piatti della cucina mediterranea.
A questo proposito mi piace ricordare una credenza piuttosto diffusa nelle campagne del centro e del sud del nostro Paese: chi apre un baccello di fava vi trova dentro sette fratelli avrà un lungo periodo di felicità.
e alla “fava porta fortuna” è dedicata questa fiaba di Italo Calvino 

Padron di ceci e fave

C’era una volta a Palermo un certo Don Giovanni Misiranti, che a mezzogiorno si sognava il pranzo e alla sera la cena, e di notte se li sognava tutti e due. Un giorno, con la fame che gli allungava le budella, uscì fuori porta.  -O Sorte mia! – diceva fra sé, – così m’hai  abbandonata!- Camminando, vide per terra una fava. Si chinò a raccoglierla. Si sedette su un paracarro e cominciò a ragionare guardando la fava.  – Che bella fava! Ora la pianto in un vaso e verrà su una pianta di fave, , con tanti bei baccelli. I baccelli li farò seccare; poi pianterò le fave in un catino e ne avrò tanti baccelli… Di qui a tre anni,prendo in affitto un orto, pianto le fave e vedrete quante ne verranno. Al quarto anno affitto un magazzino e divento un grande negoziante… -.
Intanto aveva ripreso a camminare ed era arrivato fuori porta Sant’Antonino. C’era una fila di magazzini e davanti a un uscio sedeva una donna. –Buona donna, s’affittano questi magazzini?-
-Signorsì – gli rispose la donna – Chi è che li cerca?-
-Il mio padrone. – fa lui. –Con chi si deve trattare?-
– Con la signora che sta quassù-.
Don Giovanni Misiranti si mise a pensare, e andò a trovare un suo compare. –Per San Giovanni, – disse al compare, -non mi dovete dir di no. Prestatemi un vostro vestito per ventiquatt’ore.-
– Signorsì compare -. E Don giovanni Misiranti si vestì di tutto punto fino ai guanti e all’orologio. Poi andò da un barbiere a farsi radere , e tutto bello lustro, uscì da porta Sant’Antonino. Nel taschino del panciotto s’era messo la fava, e ogni tanto le dava una guardata di sottecchi. – Vide la donna sempre là seduta e le disse: – Buona donna, è a voi che un mio servitore ha chiesto dei magazzini da affittare? –
– Sissignore, è venuto per vederli? Venga con me che l’accompagno dalla moglie del mio padrone. Don Giovanni Misiranti, tutto impettito, segue la donna e si presenta alla padrona dei magazzini. La signora, vedendo un gentiluomo con tanto di cappello, guanti e catena d’oro, gli fece tanti complimenti e cominciarono a discorrere. Sul più bello entrò un bella signorina. Don Giovanni Misiranti aperse tanto d’occhi. – E’ una vostra parente? – chiese alla Signora.
-E’ mia figlia.
-Da sposare?
– Sì, ancora da sposare.
-Ne ho piacere: sono da sposare anch’io. Dopo un po’ fa: – A me pare che, concluso il contratto dei magazzini, dobbiamo passare a quello della figlia. Che ne dice la Signora?
E la Signora rispose: – Tutto può succedere…
Venne il marito. Don Giovanni s’alzò e fece un inchino. – Io sono padrone di terre – disse, – e vorrei affittare i vostri tredici magazzini per riempirli di fave, ceci e tutto il resto del raccolto. E, se non vi dispiace, vorrei anche vostra figlia in moglie.
-Ah. E come vi chiamate?
-Io mi chiamo Don Giovanni Misiranti, padron di ceci e fave, o tanti o quanti.-
-Allora Don Giovanni, datemi ventiquattr’ore di tempo e vi darò una risposta. Alla sera, la madre prese da parte la figlia e le disse che la voleva Don Giovanni Misiranti, padron di ceci e fave, o tanti o quanti. La figlia tutta contenta disse sì.
L’indomani Don Giovanni tornò dal suo compare e si fece prestare un altro vestito e, per prima cosa, passò la fave nel taschino del nuovo panciotto. Andò a casa dei padroni dei magazzini, e quando ebbe la risposta, toccò il cielo con un dito. – allora vorrei sbrigarmi – disse, – perché le mie molte occupazioni non permettono di perder tempo. – Signorsì Don Giovanni – dissero i genitori della ragazza, – vi andrebbe di stendere il contratto tra una settimana? – . Don Giovanni continuò tutti quei giorni a farsi prestare vestiti sempre diversi e i suoceri lo credevano molto ricco. Firmarono il contratto e la dote fu fissata in duemila onze di moneta d’oro in contanti, lenzuola e biancheria.
Quando si vide tanti denari davanti, Don Giovanni si sentì un altro uomo. Cominciò a spendere: regali per la sposa, e per sé vestiti e tutto quel che ci voleva per far bella figura.
Dopo otto giorni dal contratto, andò a nozze con un bel vestito da sposo, e la fava nel taschino del panciotto. Diedero feste e banchetti e Don Giovanni faceva una vita da barone. La suocera, a vedere questo scialo,  che non finiva più, cominciò a preoccuparsi: – Don Giovanni, quando la portate mia figlia a visitare i vostri feudi? E’ la stagione del raccolto.
Don Giovanni cominciò a confondersi, non sapeva più che scusa trovare. Si scervellava e tratto di tasca il suo portafortuna: – Sorte mia- diceva – qui mi devi aiutare ancora-
Fece preparare una bella lettiga per la sposa e la suocera e disse: – E’ tempo di partire. Andiamo verso Messina. Io vado aventi a cavallo, e voi mi venite dietro.
Don Giovanni partì a cavallo. Quando vide un luogo che gli sembrava facesse al caso suo, chiamò un contadino:- Tieni dodici tari: appena vedi venire una lettiga con due signore, se ti domandano di chi sono queste terre gli devi dire: – Di Don Giovanni Misiranti, padron di ceci e fave, o tanti o quanti. –
Passò la lettiga. – Buon uomo, di chi sono tutte queste belle terre? – Di Don Giovanni Misiranti, padron di ceci e fave, o tanti o quanti. –
La madre e la figlia sorrisero compiaciute e continuarono il viaggio. In un altro feudo successe lo stesso; Don Giovanni andava avanti battendo la strada al prezzo di dodici tari, con la fava nel taschino che era tutta la sua fortuna. Arrivato dove non c’era più nulla da vedere, Don Giovanni si disse:- Ora cerco una locanda e le aspetto. –Si guarda intorno e vede un gran palazzo, con una madamigella vestita di verde affacciata alla finestra.
-Pss, Pss!- fece la Madamigella e gli fece cenno di salire. Don Giovanni prese su per gli scaloni e aveva quasi paura di sporcarli tant’erano puliti e lucenti. Gli venne incontro la Madamigella e indicando con un gran gesto tutti i lampadari, i tappeti, le mura d’oro zecchino disse: -Ti piace il palazzo?
-Figuriamoci se non mi piace!- disse Don Giovanni. –Ci starei bene anche da morto qua dentro…
-Sali, Sali su, – e gli fece fare il giro dei quartieri: dappertutto c’erano gioielli, pietre preziose, drappi fini, roba che Don Giovanni non se l’era nemmeno mai sognata.
– La vedi tutta questa roba? E’ tutta tua. Sappitela guardare. Qua ci sono gli incartamenti. E’ un regalo che ti faccio. Io sono la fava che tu hai raccolto e conservato nel taschino. Adesso me ne vado. Don Giovanni stava per buttarlesi ai piedi e dirle tutta la sua gratitudine, ma la Madamigella vestita di verde non c’era più: era sparita sotto i suoi occhi. Invece il bel palazzo c’era sempre ed era suo, di lui Don Giovanni Misiranti.
Appena la suocera vide il palazzo:- Ah, figlia mia, che gran sorte ti è toccata. Don Giovanni, figlio caro, un così bel palazzo avevate e non ce l’avete mai detto!
– Eh!Volevo farvi una sorpresa…- E così le portò a visitare il palazzo ed era la prima volta che lo vedeva anche lui, e mostrò i gioielli, e gli incartamenti dei feudi, e un sotterraneo pieno d’oro e d’argento con la pala piantata in mezzo, poi le scuderie con tutte le carrozze, e infine passarono in rivista i lacchè e tutta la servitù.
Scrissero al suocero che vendesse tutto e venisse anche lui al palazzo, e Don Giovanni mandò una mancia anche a quella buona donna che aveva trovato seduta davanti ai magazzini.
Italo Calvino

 

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Favole e fave

Un menù dedicato alle fave, cibo povero, e, a mio avviso, molto gustoso. Le fave sono il frutto di una pianta coltivata già 3000 anni fa, lo testimoniano i rinvenimenti in tombe egizie, a dimostrazione che sono i primi legumi che l’uomo abbia mangiato.  Attraverso Greci e Romani sono giunte a noi, e si sono fatte spazio nelle tavole dei contadini, sopratutto i più poveri. Venivano chiamate la carne dei poveri perché pur costando nulla sono ricchissime di proteine, vitamine, fibre e potassio. Hanno conquistato così un ruolo da protagoniste in molti piatti del sud, come il macco di fave in Sicilia, fave e cicoria in Puglia, la vignarola nel Lazio e tanti altri gustosi piatti della cucina mediterranea.
A questo proposito mi piace ricordare una credenza piuttosto diffusa nelle campagne del centro e del sud del nostro Paese: chi apre un baccello di fava vi trova dentro sette fratelli avrà un lungo periodo di felicità.
e alla “fava porta fortuna” è dedicata questa fiaba di Italo Calvino 
Ivana

Padron di ceci e fave

C’era una volta a Palermo un certo Don Giovanni Misiranti, che a mezzogiorno si sognava il pranzo e alla sera la cena, e di notte se li sognava tutti e due. Un giorno, con la fame che gli allungava le budella, uscì fuori porta.  -O Sorte mia! – diceva fra sé, – così m’hai  abbandonata!- Camminando, vide per terra una fava. Si chinò a raccoglierla. Si sedette su un paracarro e cominciò a ragionare guardando la fava.  – Che bella fava! Ora la pianto in un vaso e verrà su una pianta di fave, , con tanti bei baccelli. I baccelli li farò seccare; poi pianterò le fave in un catino e ne avrò tanti baccelli… Di qui a tre anni,prendo in affitto un orto, pianto le fave e vedrete quante ne verranno. Al quarto anno affitto un magazzino e divento un grande negoziante… -.
Intanto aveva ripreso a camminare ed era arrivato fuori porta Sant’Antonino. C’era una fila di magazzini e davanti a un uscio sedeva una donna. –Buona donna, s’affittano questi magazzini?-
-Signorsì – gli rispose la donna – Chi è che li cerca?-
-Il mio padrone. – fa lui. –Con chi si deve trattare?-
– Con la signora che sta quassù-.
Don Giovanni Misiranti si mise a pensare, e andò a trovare un suo compare. –Per San Giovanni, – disse al compare, -non mi dovete dir di no. Prestatemi un vostro vestito per ventiquatt’ore.-
– Signorsì compare -. E Don giovanni Misiranti si vestì di tutto punto fino ai guanti e all’orologio. Poi andò da un barbiere a farsi radere , e tutto bello lustro, uscì da porta Sant’Antonino. Nel taschino del panciotto s’era messo la fava, e ogni tanto le dava una guardata di sottecchi. – Vide la donna sempre là seduta e le disse: – Buona donna, è a voi che un mio servitore ha chiesto dei magazzini da affittare? –
– Sissignore, è venuto per vederli? Venga con me che l’accompagno dalla moglie del mio padrone. Don Giovanni Misiranti, tutto impettito, segue la donna e si presenta alla padrona dei magazzini. La signora, vedendo un gentiluomo con tanto di cappello, guanti e catena d’oro, gli fece tanti complimenti e cominciarono a discorrere. Sul più bello entrò un bella signorina. Don Giovanni Misiranti aperse tanto d’occhi. – E’ una vostra parente? – chiese alla Signora.
-E’ mia figlia.
-Da sposare?
– Sì, ancora da sposare.
-Ne ho piacere: sono da sposare anch’io. Dopo un po’ fa: – A me pare che, concluso il contratto dei magazzini, dobbiamo passare a quello della figlia. Che ne dice la Signora?
E la Signora rispose: – Tutto può succedere…
Venne il marito. Don Giovanni s’alzò e fece un inchino. – Io sono padrone di terre – disse, – e vorrei affittare i vostri tredici magazzini per riempirli di fave, ceci e tutto il resto del raccolto. E, se non vi dispiace, vorrei anche vostra figlia in moglie.
-Ah. E come vi chiamate?
-Io mi chiamo Don Giovanni Misiranti, padron di ceci e fave, o tanti o quanti.-
-Allora Don Giovanni, datemi ventiquattr’ore di tempo e vi darò una risposta. Alla sera, la madre prese da parte la figlia e le disse che la voleva Don Giovanni Misiranti, padron di ceci e fave, o tanti o quanti. La figlia tutta contenta disse sì.
L’indomani Don Giovanni tornò dal suo compare e si fece prestare un altro vestito e, per prima cosa, passò la fave nel taschino del nuovo panciotto. Andò a casa dei padroni dei magazzini, e quando ebbe la risposta, toccò il cielo con un dito. – allora vorrei sbrigarmi – disse, – perché le mie molte occupazioni non permettono di perder tempo. – Signorsì Don Giovanni – dissero i genitori della ragazza, – vi andrebbe di stendere il contratto tra una settimana? – . Don Giovanni continuò tutti quei giorni a farsi prestare vestiti sempre diversi e i suoceri lo credevano molto ricco. Firmarono il contratto e la dote fu fissata in duemila onze di moneta d’oro in contanti, lenzuola e biancheria.
Quando si vide tanti denari davanti, Don Giovanni si sentì un altro uomo. Cominciò a spendere: regali per la sposa, e per sé vestiti e tutto quel che ci voleva per far bella figura.
Dopo otto giorni dal contratto, andò a nozze con un bel vestito da sposo, e la fava nel taschino del panciotto. Diedero feste e banchetti e Don Giovanni faceva una vita da barone. La suocera, a vedere questo scialo,  che non finiva più, cominciò a preoccuparsi: – Don Giovanni, quando la portate mia figlia a visitare i vostri feudi? E’ la stagione del raccolto.
Don Giovanni cominciò a confondersi, non sapeva più che scusa trovare. Si scervellava e tratto di tasca il suo portafortuna: – Sorte mia- diceva – qui mi devi aiutare ancora-
Fece preparare una bella lettiga per la sposa e la suocera e disse: – E’ tempo di partire. Andiamo verso Messina. Io vado aventi a cavallo, e voi mi venite dietro.
Don Giovanni partì a cavallo. Quando vide un luogo che gli sembrava facesse al caso suo, chiamò un contadino:- Tieni dodici tari: appena vedi venire una lettiga con due signore, se ti domandano di chi sono queste terre gli devi dire: – Di Don Giovanni Misiranti, padron di ceci e fave, o tanti o quanti. –
Passò la lettiga. – Buon uomo, di chi sono tutte queste belle terre? – Di Don Giovanni Misiranti, padron di ceci e fave, o tanti o quanti. –
La madre e la figlia sorrisero compiaciute e continuarono il viaggio. In un altro feudo successe lo stesso; Don Giovanni andava avanti battendo la strada al prezzo di dodici tari, con la fava nel taschino che era tutta la sua fortuna. Arrivato dove non c’era più nulla da vedere, Don Giovanni si disse:- Ora cerco una locanda e le aspetto. –Si guarda intorno e vede un gran palazzo, con una madamigella vestita di verde affacciata alla finestra.
-Pss, Pss!- fece la Madamigella e gli fece cenno di salire. Don Giovanni prese su per gli scaloni e aveva quasi paura di sporcarli tant’erano puliti e lucenti. Gli venne incontro la Madamigella e indicando con un gran gesto tutti i lampadari, i tappeti, le mura d’oro zecchino disse: -Ti piace il palazzo?
-Figuriamoci se non mi piace!- disse Don Giovanni. –Ci starei bene anche da morto qua dentro…
-Sali, Sali su, – e gli fece fare il giro dei quartieri: dappertutto c’erano gioielli, pietre preziose, drappi fini, roba che Don Giovanni non se l’era nemmeno mai sognata.
– La vedi tutta questa roba? E’ tutta tua. Sappitela guardare. Qua ci sono gli incartamenti. E’ un regalo che ti faccio. Io sono la fava che tu hai raccolto e conservato nel taschino. Adesso me ne vado. Don Giovanni stava per buttarlesi ai piedi e dirle tutta la sua gratitudine, ma la Madamigella vestita di verde non c’era più: era sparita sotto i suoi occhi. Invece il bel palazzo c’era sempre ed era suo, di lui Don Giovanni Misiranti.
Appena la suocera vide il palazzo:- Ah, figlia mia, che gran sorte ti è toccata. Don Giovanni, figlio caro, un così bel palazzo avevate e non ce l’avete mai detto!
– Eh!Volevo farvi una sorpresa…- E così le portò a visitare il palazzo ed era la prima volta che lo vedeva anche lui, e mostrò i gioielli, e gli incartamenti dei feudi, e un sotterraneo pieno d’oro e d’argento con la pala piantata in mezzo, poi le scuderie con tutte le carrozze, e infine passarono in rivista i lacchè e tutta la servitù.
Scrissero al suocero che vendesse tutto e venisse anche lui al palazzo, e Don Giovanni mandò una mancia anche a quella buona donna che aveva trovato seduta davanti ai magazzini.
Italo Calvino

 

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Il gusto della legalità


Allora la farina c’è, il sale anche, il lievito pure, cosa manca? Ah quasi me ne dimenticavo: il sapore della legalità.
Non si tratta delle prima ricetta surreale di questo blog, ma di un modo per iniziare a raccontare come oggi sia possibile, grazie a tanti italiani che lottano ogni giorno contro le mafie, aggiungere il sapore della legalità a molti piatti ed a tutte le tavole.
La storia comincia da lontano, almeno dal 1982, quando una legge fortemente voluta da Pio La Torre (ex parlamentare del PCI ucciso da Cosa nostra proprio poco prima che la sua legge che istituiva il reato di mafia, il 416 bis, fosse approvata) rende più efficace il sequestro dei beni alle mafie. Poi continua nel 1994, quando si avvia una raccolta di firme per una legge popolare che permettesse il riutilizzo sociale dei beni mafiosi. Quella raccolta di firme fa si che nascano due cose: una legge che effettivamente privilegia il riutilizzo a fini sociali dei beni sottratti a ‘ndrangheta, camorra e cosa nostra, e l’associazione Libera, promossa da don Luigi Ciotti con tante associazioni di volontariato e di promozione sociale.
 Da quel momento Libera ha prodotto molte nuove iniziative ma quella che ci interessa qui è la coltivazione dei campi confiscati attraverso cooperative sociali per produrre una sempre più ampia varietà di prodotti alimentari. Con questa scelta si raggiungono diversi obiettivi: si dimostra che la scelta della ribellione alle mafie produce anche lavoro pulito; si recuperano e si migliorano tradizioni di lavorazione della terra e dei prodotti; si crea una vera e propria filiera della legalità diffondendo i prodotti in botteghe ad hoc o nei corner della COOP, che ha sostenuto e sostiene questa iniziativa dall’inizio.
Attualmente le cooperative attive sono 8, per lo più nel sud Italia,  ed alle attività tradizionali agricole cominciano ad affiancarsi anche altre attività nel campo dell’alimentazione, come il caseificio di Castel Volturno che è partito nel mese di maggio. I prodotti di queste aziende, tutte biologiche e con un preciso disciplinare di produzione, sono veramente tanti, tutti legati alle tradizione della terra dove vengono lavorati: le paste e le conserve siciliane, i paccheri di Gragnano e la mozzarella di bufala campana, l’olio e le specialità calabresi, i tarallini e le friselle pugliesi. E da tutte le regioni arrivano vini in costante miglioramento.
I prodotti si possono tutti acquistare sia on-line sia nelle botteghe della legalità (mentre nei corner della COOP se ne trovano solo alcuni). Le botteghe ormai sono presenti in 12 città, in tutta Italia, e sono ormai un modo buono e sano per dare una mano alla lotta alla mafia. Perchè la lotta alla mafia si fa anche con tanti gesti quotidiani consapevoli.
E poi volete mettere il piacere di mangiare e brindare alla faccia delle mafie!
Riccardo Guido

LE BOTTEGHE NELLE CITTA’ http://www.liberaterra.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/14
ACQUISTARE ON LINE  http://www.bottegaliberaterra.it/it/home/

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Madama Ricetta nasce all’ombra del Senato dall'alleanza di tre colleghe ... leggi la storia

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