Favole e fave
Un menù dedicato alle fave, cibo povero, e, a mio avviso, molto gustoso. Le fave sono il frutto di una pianta coltivata già 3000 anni fa, lo testimoniano i rinvenimenti in tombe egizie, a dimostrazione che sono i primi legumi che l’uomo abbia mangiato. Attraverso Greci e Romani sono giunte a noi, e si sono fatte spazio nelle tavole dei contadini, sopratutto i più poveri. Venivano chiamate la carne dei poveri perché pur costando nulla sono ricchissime di proteine, vitamine, fibre e potassio. Hanno conquistato così un ruolo da protagoniste in molti piatti del sud, come il macco di fave in Sicilia, fave e cicoria in Puglia, la vignarola nel Lazio e tanti altri gustosi piatti della cucina mediterranea.
A questo proposito mi piace ricordare una credenza piuttosto diffusa nelle campagne del centro e del sud del nostro Paese: chi apre un baccello di fava vi trova dentro sette fratelli avrà un lungo periodo di felicità.
…e alla “fava porta fortuna” è dedicata questa fiaba di Italo Calvino
Ivana
Padron di ceci e fave
C’era una volta a Palermo un certo Don Giovanni Misiranti, che a mezzogiorno si sognava il pranzo e alla sera la cena, e di notte se li sognava tutti e due. Un giorno, con la fame che gli allungava le budella, uscì fuori porta. -O Sorte mia! – diceva fra sé, – così m’hai abbandonata!- Camminando, vide per terra una fava. Si chinò a raccoglierla. Si sedette su un paracarro e cominciò a ragionare guardando la fava. – Che bella fava! Ora la pianto in un vaso e verrà su una pianta di fave, , con tanti bei baccelli. I baccelli li farò seccare; poi pianterò le fave in un catino e ne avrò tanti baccelli… Di qui a tre anni,prendo in affitto un orto, pianto le fave e vedrete quante ne verranno. Al quarto anno affitto un magazzino e divento un grande negoziante… -.
Intanto aveva ripreso a camminare ed era arrivato fuori porta Sant’Antonino. C’era una fila di magazzini e davanti a un uscio sedeva una donna. –Buona donna, s’affittano questi magazzini?-
-Signorsì – gli rispose la donna – Chi è che li cerca?-
-Il mio padrone. – fa lui. –Con chi si deve trattare?-
– Con la signora che sta quassù-.
Don Giovanni Misiranti si mise a pensare, e andò a trovare un suo compare. –Per San Giovanni, – disse al compare, -non mi dovete dir di no. Prestatemi un vostro vestito per ventiquatt’ore.-
– Signorsì compare -. E Don giovanni Misiranti si vestì di tutto punto fino ai guanti e all’orologio. Poi andò da un barbiere a farsi radere , e tutto bello lustro, uscì da porta Sant’Antonino. Nel taschino del panciotto s’era messo la fava, e ogni tanto le dava una guardata di sottecchi. – Vide la donna sempre là seduta e le disse: – Buona donna, è a voi che un mio servitore ha chiesto dei magazzini da affittare? –
– Sissignore, è venuto per vederli? Venga con me che l’accompagno dalla moglie del mio padrone. Don Giovanni Misiranti, tutto impettito, segue la donna e si presenta alla padrona dei magazzini. La signora, vedendo un gentiluomo con tanto di cappello, guanti e catena d’oro, gli fece tanti complimenti e cominciarono a discorrere. Sul più bello entrò un bella signorina. Don Giovanni Misiranti aperse tanto d’occhi. – E’ una vostra parente? – chiese alla Signora.
-E’ mia figlia.
-Da sposare?
– Sì, ancora da sposare.
-Ne ho piacere: sono da sposare anch’io. Dopo un po’ fa: – A me pare che, concluso il contratto dei magazzini, dobbiamo passare a quello della figlia. Che ne dice la Signora?
E la Signora rispose: – Tutto può succedere…
Venne il marito. Don Giovanni s’alzò e fece un inchino. – Io sono padrone di terre – disse, – e vorrei affittare i vostri tredici magazzini per riempirli di fave, ceci e tutto il resto del raccolto. E, se non vi dispiace, vorrei anche vostra figlia in moglie.
-Ah. E come vi chiamate?
-Io mi chiamo Don Giovanni Misiranti, padron di ceci e fave, o tanti o quanti.-
-Allora Don Giovanni, datemi ventiquattr’ore di tempo e vi darò una risposta. Alla sera, la madre prese da parte la figlia e le disse che la voleva Don Giovanni Misiranti, padron di ceci e fave, o tanti o quanti. La figlia tutta contenta disse sì.
L’indomani Don Giovanni tornò dal suo compare e si fece prestare un altro vestito e, per prima cosa, passò la fave nel taschino del nuovo panciotto. Andò a casa dei padroni dei magazzini, e quando ebbe la risposta, toccò il cielo con un dito. – allora vorrei sbrigarmi – disse, – perché le mie molte occupazioni non permettono di perder tempo. – Signorsì Don Giovanni – dissero i genitori della ragazza, – vi andrebbe di stendere il contratto tra una settimana? – . Don Giovanni continuò tutti quei giorni a farsi prestare vestiti sempre diversi e i suoceri lo credevano molto ricco. Firmarono il contratto e la dote fu fissata in duemila onze di moneta d’oro in contanti, lenzuola e biancheria.
Quando si vide tanti denari davanti, Don Giovanni si sentì un altro uomo. Cominciò a spendere: regali per la sposa, e per sé vestiti e tutto quel che ci voleva per far bella figura.
Dopo otto giorni dal contratto, andò a nozze con un bel vestito da sposo, e la fava nel taschino del panciotto. Diedero feste e banchetti e Don Giovanni faceva una vita da barone. La suocera, a vedere questo scialo, che non finiva più, cominciò a preoccuparsi: – Don Giovanni, quando la portate mia figlia a visitare i vostri feudi? E’ la stagione del raccolto.
Don Giovanni cominciò a confondersi, non sapeva più che scusa trovare. Si scervellava e tratto di tasca il suo portafortuna: – Sorte mia- diceva – qui mi devi aiutare ancora-
Fece preparare una bella lettiga per la sposa e la suocera e disse: – E’ tempo di partire. Andiamo verso Messina. Io vado aventi a cavallo, e voi mi venite dietro.
Don Giovanni partì a cavallo. Quando vide un luogo che gli sembrava facesse al caso suo, chiamò un contadino:- Tieni dodici tari: appena vedi venire una lettiga con due signore, se ti domandano di chi sono queste terre gli devi dire: – Di Don Giovanni Misiranti, padron di ceci e fave, o tanti o quanti. –
Passò la lettiga. – Buon uomo, di chi sono tutte queste belle terre? – Di Don Giovanni Misiranti, padron di ceci e fave, o tanti o quanti. –
La madre e la figlia sorrisero compiaciute e continuarono il viaggio. In un altro feudo successe lo stesso; Don Giovanni andava avanti battendo la strada al prezzo di dodici tari, con la fava nel taschino che era tutta la sua fortuna. Arrivato dove non c’era più nulla da vedere, Don Giovanni si disse:- Ora cerco una locanda e le aspetto. –Si guarda intorno e vede un gran palazzo, con una madamigella vestita di verde affacciata alla finestra.
-Pss, Pss!- fece la Madamigella e gli fece cenno di salire. Don Giovanni prese su per gli scaloni e aveva quasi paura di sporcarli tant’erano puliti e lucenti. Gli venne incontro la Madamigella e indicando con un gran gesto tutti i lampadari, i tappeti, le mura d’oro zecchino disse: -Ti piace il palazzo?
-Figuriamoci se non mi piace!- disse Don Giovanni. –Ci starei bene anche da morto qua dentro…
-Sali, Sali su, – e gli fece fare il giro dei quartieri: dappertutto c’erano gioielli, pietre preziose, drappi fini, roba che Don Giovanni non se l’era nemmeno mai sognata.
– La vedi tutta questa roba? E’ tutta tua. Sappitela guardare. Qua ci sono gli incartamenti. E’ un regalo che ti faccio. Io sono la fava che tu hai raccolto e conservato nel taschino. Adesso me ne vado. Don Giovanni stava per buttarlesi ai piedi e dirle tutta la sua gratitudine, ma la Madamigella vestita di verde non c’era più: era sparita sotto i suoi occhi. Invece il bel palazzo c’era sempre ed era suo, di lui Don Giovanni Misiranti.
Appena la suocera vide il palazzo:- Ah, figlia mia, che gran sorte ti è toccata. Don Giovanni, figlio caro, un così bel palazzo avevate e non ce l’avete mai detto!
– Eh!Volevo farvi una sorpresa…- E così le portò a visitare il palazzo ed era la prima volta che lo vedeva anche lui, e mostrò i gioielli, e gli incartamenti dei feudi, e un sotterraneo pieno d’oro e d’argento con la pala piantata in mezzo, poi le scuderie con tutte le carrozze, e infine passarono in rivista i lacchè e tutta la servitù.
Scrissero al suocero che vendesse tutto e venisse anche lui al palazzo, e Don Giovanni mandò una mancia anche a quella buona donna che aveva trovato seduta davanti ai magazzini.
Italo Calvino
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