Quel pugno di legumi
(Quella che segue è la storia di Santa Silvia, pubblicata questo mese dal mensile femminile dell’Osservatore Romano, Donne Chiesa Mondo a firma di Silvia Gusmano. Festeggiata il 3 novembre e venerata soprattutto a Roma, dove visse, e in Sicilia dove probabilmente nacque intorno al 520, Santa Silvia diede alla luce San Gregorio Magno, papa dal 590 al 604).
«Era una festa quotidiana quel piccolo tonfo – il rumore sordo dell’argento posato sulla nuda pietra – che annunciava il pasto di mezzogiorno e un po’ di sollievo dalle pene della miseria. Lei, Silvia, non immaginava che l’abitudine di portare un pugno di legumi al figlio perché non saltasse il pasto, si sarebbe trasformata in poco tempo in un gesto d’amore allargato e atteso da molti. E ne gioiva anche se di tanto era aumentato il suo carico giornaliero: non più solo una scodella d’argento, ma un vassoio carico di primizie dell’orto, destinato ai poveri ospitati alla tavola di Gregorio e a tutti gli affamati che lei incontrava lungo la strada da Cella Nova, la sua casa sull’Aventino Minore, al Monastero di Sant’Andrea al Celio. Era qui infatti che il suo primogenito, aveva deciso al culmine della carriera politica, di ritirarsi e di iniziare, da monaco, una vita di dedizione a Dio, con una piccola comunità che fosse punto di sostegno per i fratelli più deboli. Silvia, ormai vedova, non aveva esitato ad assecondare il suo progetto, a lasciargli l’amata casa coniugale e ad aiutarlo come fanno le madri: provvedendo prima di tutto ai bisogni pratici. (…) Così, ogni mattina, quando il sole era alto nel cielo, usciva da Cella Nova con il pesante vassoio tra le braccia e costeggiava il Circo Massimo, diretta al Clivo di Scauro, la ripida salita che l’avrebbe portata alla sua vecchia abitazione. Quella breve passeggiata, sempre ricca di incontri e di sorrisi, le ristorava l’anima. Tutti la conoscevano, la signora venuta dalla lontana Sicilia, che aveva sposato il senatore Gordiano, tanto imponente nell’aspetto, quanto generoso e attento agli altri. Chi poteva l’aiutava, caricando il suo vassoio per i poveri. Chi aveva bisogno la fermava e chiedeva: un po’ di cibo, una preghiera, un abbraccio. Molti la seguivano al monastero desiderosi di ascoltare le parole di quel suo figlio speciale. Sorrideva Silvia, sentendo Gregorio che spiegava il Vangelo ai visitatori e le sembrava a tratti di risentire se stessa tanti anni prima, madre in ginocchio accanto al letto dei piccoli: ogni sera una racconto avventuroso, ogni sera scoperte, fiato sospeso e colpi di scena in quelle storie dove l’eroe era sempre Gesù e il lieto fine non mancava mai. Perché amassero Gesù come lei lo amava. Gordiano a volte fingeva di rimproverarla. Le parabole, diceva, non son favolette per intrattenere i bambini. Lei sorrideva. Lui così serio, così concentrato nel suo fervore religioso, l’aveva scelta ed amata per questo: Silvia era lieve, leggera e fantasiosa, anche quando portava carichi pesanti, anche in mezzo alle tempeste. Tempeste violente, come il sacco di Roma ad opera dei Goti, l’invasione dei Longobardi nelle terre d’Italia e, da ultimo, la peste, una scisagura, pensava Silvia con sollievo, che Gordiano non aveva fatto in tempo a vivere. I suoi figli tuttavia si e lei temeva per Gregorio che, a differenza del fratello le assomigliava, esile nel fisico e cagionevole di salute. Lui, come ogni figlio adulto sino a quel tempo e per tutti i tempi a venire, protestava contro certe premure ritenute eccessive, contro quel cibo quotidiano che temeva le costasse troppa fatica e che invece per Silvia rappresentava un felice epilogo alle passate cure materne. Protestava Gregorio, soprattutto contro il vassoio d’argento, senza capire che non di frivolezza si trattava ma di segno d’amore, laddove il buono e il bello, quando è possibile, vanno sempre a braccetto. Silvia non lo ascoltava e il giorno che Gregorio donò per elemosina il vassoio a un povero giunto troppo tardi alla sua mensa, ne prese uno più grande. Sapeva di non sbagliare, ma non immaginava che da lì a qualche anno quel povero sarebbe tornato a bussare alla porta di Gregorio nelle vesti alate di un angelo per ringraziarlo ancora del prezioso dono e rivelare l’identità che sempre si cela dietro il prossimo accolto e sfamato. Né immaginava – ma avrebbe fatto in tempo a vederlo – che i suoi semplici insegnamenti di vita avrebbero portato Gregorio a diventar Magno, papa amatissimo in terra e benedetto in cielo. (…) Nel giardino al Celio, dove quasi certamente santa Silvia riposa (…) oggi si muovono veloci e leggere le Missionarie della Carità, felici di mostrare ai fedeli la stanza dove Madre Teresa trascorreva i suoi soggiorni romani, trovando ogni volta il tempo di dar seguito alla tradizione iniziata con Silvia: offrire il pasto ai poveri, usando quella stessa tavola di pietra che fu di Gregorio e di quanti, con l’aiuto della madre, accolse come fratelli».
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