Paccheri in piedi
Ricetta di Simone Rugiadi, da “Cuochi e Fiamme”
Frullare insieme tutti i formaggi nel minipimer ed insaporire con il basilico spezzettato, sale e pepe. Questa sarà la farcia.
Cuocere i paccheri a 2/3 della cottura, scolarli e condirli con un cucchiaio di olio in modo che non si incollino fra di loro. Farcirli completamente con i formaggi e disporli in piedi su una teglia da forno.
Saltare i pomodorini in padella con un filo di olio e un po’ di aglio, allungare un po’ con l’acqua per creare una crema, ancora basilico e versare il sugo sui paccheri.
Spolverare di pecorino o parmigiano ed infornare per circa 12 min.

Strudel di verdure con salsa in agrodolce
250 gr di verdure (scegliendo a piacere, piselli, funghi, zucchine, melanzane o carote) 200 gr di ricotta, un cucchiaio di grana grattugiato, 1 rotolo di pasta fillo, passata di pomodoro di ottima qualità, 2 cucchiai di crema di aceto balsamico, un cucciano di tabasco, burro, olio extra vergine di oliva, sale
Tagliate le verdure e saltatele in padella con un paio di cucchiai d’olio d’oliva, per 5/6 minuti. Srotolate la pasta fillo e prendete uno strato di pasta. Ungete la sfoglia con del burro fuso e ripete l’operazione sovrapponendo i fogli per circa 5-6 strati. Mettete la ricotta in una ciotola, lavoratela con una forchetta e aggiungete le verdure. Mettete il composto ottenuto al centro della pasta sfoglia lasciando un bordo di 2 cm per lato, spolverate con il grana. Arrotolate lo strudel dalla parte più lunga, sigillatelo bene affinché il contenuto non esca durante la cottura. Prendete una pirofila e foderatela con un foglio di carta forno, mettete lo strudel e spennelatelo con il burro fuso cuocete in forno a 180° per circa 15/20 minuti. Per la salsa in agrodolce unite il passato di pomodoro all’aceto balsamico, al tabasco e ad un cucchiaio d’olio e emulsionate con una forchetta. Mettete sul fondo del piatto la salsa di pomodoro e adagiandovi sopra le fette di strudel. Potete decorare con qualche goccia di aceto balsamico o spolverare con un pizzico di basilico essiccato.

Pasta con un pesto di agrumi, funghi porcini e caciocavallo ragusano
da le ricette di Filippo La Mantia
Il pesto di agrumi è la salsa che per eccellenza caratterizza la cucina di Filippo La Mantia. Lo chef non usa cipolla, aglio e soffritti, ma crea tuttavia piatti molto aromatici, a partire da arance, limoni o bergamotti, arricchiti di volta in volta con capperi, basilico, finocchietto, altre erbe aromatiche, pinoli o mandorle. Lui stesso definisce il suo pesto di agrumi una salsa-base perché può essere utilizzata per condire ogni tipo di pasta, ma anche per i secondi di pesce e si presta a essere personalizzata con l’aggiunta di spezie e odori a seconda dei gusti di chi cucina. La Mantia non ama parlare di ricette in termini di ingredienti, quindi le dosi sono spesso indicative (un mazzetto, un pugno ecc.). In ogni caso risultano semplici da eseguire e piuttosto veloci
Ingredienti per 2 persone
160g di spaghetti, un mazzetto di basilico, un pugnetto di capperi, pugnetto di mandorle tostate, 2 pomodorini, olio e.v.o., 2 funghi porcini, cacio cavallo ragusano
Preparazione
Mentre la pasta cuoce (qui si usano gli spaghetti, ma si può scegliere qualsiasi formato a piacere), frullare nel mixer l’arancia sbucciata e tagliata in quarti, il basilico, i capperi, le mandorle e i pomodorini. Quando si sarà formata una salsa omogenea, metterla in padella e iniziare a riscaldare. Tagliare poi a julienne due grossi funghi porcini e aggiungerli al composto con un filo d’olio. Nel frattempo la pasta dovrebbe essere pronta. Scolarla al dente e versarla nella padella con il pesto d’agrumi, lasciare insaporire un minuto mescolando. Guarnire col caciocavallo ragusano grattugiato a grana grossa e servire
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Muffin di asparagi
Ingredienti: 150 gr farina, 50 gr parmigiano grattugiato, 3 cucchiai olio extra vergine, 1 uovo, 125 gr latte, 1 pizzico di sale e pepe, 1 cucchiaino di lievito per torte salate, 200 g di philadelphia, due cucchiai di panna, 20 asparagi congelati, burro, semi di papavero
Scongelate gli asparagi e passateli nel burro per 2/3 minuti, tenete da parte soltanto le punte (5/6 cm) e tritate il resto. Impastare, nello sbattitore (150 gr farina, 50 gr parmigiano grattugiato, 3 cucchiai olio extra vergine, 1 uovo, 125 gr latte, 1 pizzico di sale e pepe, 1 cucchiaino di lievito per torte salate, gli asparagi tritati) e lasciar riposare per 15 minuti. Preparare degli stampini di carta per muffin, su una teglia da forno e versare un cucchiaio abbondante di impasto in ogni stampino. Infornare a 180° per 15 minuti. Lavorate la philadelphia con la panna e mettetela in una sacca da pasticciere, mettetene un po’ in ogni muffin e infilate al centro la punta di asparago, spolverizzate con i semi di papavero.
Valentina

DOLCETTI MELE E ARANCIA
Per la pasta:
Farina Kg. 1
Zucchero gr. 250
Strutto gr. 100
Latte ml. 250
Uova 2
Vaniglia qualche goccia di essenza
Lievito per dolci 1 bustina
Per il ripieno;
Mele gr. 500
Zucchero di canna gr. 200
Limone 1
Noci gr. 150
Amaretti
Marmellata di arance
Amalgamare la farina con lo strutto, le uova, lo zucchero e la scorza di limone grattugiata. Impastare e fare riposare coperto per un paio d’ore.
Sbucciare le mele tagliarle a pezzetti, unire lo zucchero e il succo del limone e lasciare macerare per un paio d’ore. Cuocere le mele in una pentola a fuoco basso, finchè non si siano addensate, unire le noci tostate e tritate grossolanamente e gli amaretti sbriciolati e la cannella. Fare raffreddare ed unire la marmellata di arance.
A questo punto stendere la pasta, ricavare dei dischi con il coppapasta, mettere al cento un mucchietto di ripieno, ripiegare il dischetto di pasta su se stesso e sigillate con i rebbi di una forchetta. Mettere in teglie e cuocere in forno a 200° per 30-40 minuti. Sfornare, fare raffreddare e al momento di servire spolverare di zucchero a velo e cannella.
Cecilia Puleo

PAUL CEZANNE: L’ARTISTA RIBELLE DELLE NATURE …DOLCI
Natura morta con tenda e brocca a fiori – Paul Cézanne (1899 circa)
E piove, piove! Piove da Torino a Palermo. Al momento la pioggia sembra avvolgere in un unico abbraccio questo nostro Paese, un abbraccio violento , pernicioso, umido. I ricorrenti allarmi meteo invitano gli italiani a stare dentro casa, ad uscire solo se strettamente necessario, scuole chiuse, disagi, insomma, sembra piovere sul bagnato!
E dato che a casa dobbiamo stare, potremmo sperimentare, insieme alla nostra famiglia, antichi modi di stare insieme, spegnendo per una sera computer, tv, I-pad, I-phone, telefonini, e con la nostra musica preferita in sottofondo potremmo per esempio preparare dei dolcetti da consumare nelle prossime feste con amici e parenti.
Dei dolcetti con i frutti di stagione, mele, arance, mandarini, pere, castagne , frutta secca etc.
Noi abbiamo pensato a delle piccole delizie ripiene di mele e arance, perché siamo degli appassionati di pittura e ci è venuto subito in mente un famoso quadro di Paul Cézanne: Natura morta con tenda e brocca a fiori.
“Questa stupenda natura morta fa parte di sei dipinti che presentano gli stessi elementi: una tenda con un motivo di foglie, una brocca a fiori, mele e arance sui piatti e tovaglie bianche. La composizione è insieme bilanciata e dinamica, con una sorta di instabile precarietà tipica delle grandi nature morte di Cézanne. Lo sfondo è diviso dal bordo della tenda e gli oggetti sono disposti quasi simmetricamente intorno alla brocca .
Ma ci sono anche volute anomalie prospettiche: il tavolo è inclinato rispetto al piano del dipinto e leggermente deformato e anche il piatto centrale appare distorto. Cèzanne voleva conciliare la reale percezione tridimensionale con la sua rappresentazione su una superficie piatta. Il dipinto rivela come egli rifiutasse la convenzione di un unico punto di vista prospettico e utilizzasse distorsioni spaziali per raggiungere il proprio scopo, creando così un nuovo linguaggio che avrebbe influenzato le future generazioni di artisti.”(da Galleria d’arte – De Agostini)
Ci piace l’idea di sperimentare nuovi linguaggi e ricercare sempre nuove strade, ci piace la possibilità di finalizzare le nostre migliori scelte alla costruzione di un futuro diverso. E se domani i nostri figli sceglieranno di trascorrere delle serate casalinghe vorremmo che lo facessero per libera scelta e non a causa di ripetuti e allarmanti allerta meteo!
Cecilia Puleo
Per la pasta:
Farina Kg. 1
Zucchero gr. 250
Strutto gr. 100
Latte ml. 250
Uova 2
Vaniglia qualche goccia di essenza
Lievito per dolci 1 bustina
Per il ripieno;
Mele gr. 500
Zucchero di canna gr. 200
Limone 1
Noci gr. 150
Amaretti
Marmellata di arance
Amalgamare la farina con lo strutto, le uova, lo zucchero e la scorza di limone grattugiata. Impastare e fare riposare coperto per un paio d’ore.
Sbucciare le mele tagliarle a pezzetti, unire lo zucchero e il succo del limone e lasciare macerare per un paio d’ore. Cuocere le mele in una pentola a fuoco basso, finchè non si siano addensate, unire le noci tostate e tritate grossolanamente e gli amaretti sbriciolati e la cannella. Fare raffreddare ed unire la marmellata di arance.
A questo punto stendere la pasta, ricavare dei dischi con il coppapasta, mettere al cento un mucchietto di ripieno, ripiegare il dischetto di pasta su se stesso e sigillate con i rebbi di una forchetta. Mettere in teglie e cuocere in forno a 200° per 30-40 minuti. Sfornare, fare raffreddare e al momento di servire spolverare di zucchero a velo e cannella.

Quel pugno di legumi
(Quella che segue è la storia di Santa Silvia, pubblicata questo mese dal mensile femminile dell’Osservatore Romano, Donne Chiesa Mondo a firma di Silvia Gusmano. Festeggiata il 3 novembre e venerata soprattutto a Roma, dove visse, e in Sicilia dove probabilmente nacque intorno al 520, Santa Silvia diede alla luce San Gregorio Magno, papa dal 590 al 604).
«Era una festa quotidiana quel piccolo tonfo – il rumore sordo dell’argento posato sulla nuda pietra – che annunciava il pasto di mezzogiorno e un po’ di sollievo dalle pene della miseria. Lei, Silvia, non immaginava che l’abitudine di portare un pugno di legumi al figlio perché non saltasse il pasto, si sarebbe trasformata in poco tempo in un gesto d’amore allargato e atteso da molti. E ne gioiva anche se di tanto era aumentato il suo carico giornaliero: non più solo una scodella d’argento, ma un vassoio carico di primizie dell’orto, destinato ai poveri ospitati alla tavola di Gregorio e a tutti gli affamati che lei incontrava lungo la strada da Cella Nova, la sua casa sull’Aventino Minore, al Monastero di Sant’Andrea al Celio. Era qui infatti che il suo primogenito, aveva deciso al culmine della carriera politica, di ritirarsi e di iniziare, da monaco, una vita di dedizione a Dio, con una piccola comunità che fosse punto di sostegno per i fratelli più deboli. Silvia, ormai vedova, non aveva esitato ad assecondare il suo progetto, a lasciargli l’amata casa coniugale e ad aiutarlo come fanno le madri: provvedendo prima di tutto ai bisogni pratici. (…) Così, ogni mattina, quando il sole era alto nel cielo, usciva da Cella Nova con il pesante vassoio tra le braccia e costeggiava il Circo Massimo, diretta al Clivo di Scauro, la ripida salita che l’avrebbe portata alla sua vecchia abitazione. Quella breve passeggiata, sempre ricca di incontri e di sorrisi, le ristorava l’anima. Tutti la conoscevano, la signora venuta dalla lontana Sicilia, che aveva sposato il senatore Gordiano, tanto imponente nell’aspetto, quanto generoso e attento agli altri. Chi poteva l’aiutava, caricando il suo vassoio per i poveri. Chi aveva bisogno la fermava e chiedeva: un po’ di cibo, una preghiera, un abbraccio. Molti la seguivano al monastero desiderosi di ascoltare le parole di quel suo figlio speciale. Sorrideva Silvia, sentendo Gregorio che spiegava il Vangelo ai visitatori e le sembrava a tratti di risentire se stessa tanti anni prima, madre in ginocchio accanto al letto dei piccoli: ogni sera una racconto avventuroso, ogni sera scoperte, fiato sospeso e colpi di scena in quelle storie dove l’eroe era sempre Gesù e il lieto fine non mancava mai. Perché amassero Gesù come lei lo amava. Gordiano a volte fingeva di rimproverarla. Le parabole, diceva, non son favolette per intrattenere i bambini. Lei sorrideva. Lui così serio, così concentrato nel suo fervore religioso, l’aveva scelta ed amata per questo: Silvia era lieve, leggera e fantasiosa, anche quando portava carichi pesanti, anche in mezzo alle tempeste. Tempeste violente, come il sacco di Roma ad opera dei Goti, l’invasione dei Longobardi nelle terre d’Italia e, da ultimo, la peste, una scisagura, pensava Silvia con sollievo, che Gordiano non aveva fatto in tempo a vivere. I suoi figli tuttavia si e lei temeva per Gregorio che, a differenza del fratello le assomigliava, esile nel fisico e cagionevole di salute. Lui, come ogni figlio adulto sino a quel tempo e per tutti i tempi a venire, protestava contro certe premure ritenute eccessive, contro quel cibo quotidiano che temeva le costasse troppa fatica e che invece per Silvia rappresentava un felice epilogo alle passate cure materne. Protestava Gregorio, soprattutto contro il vassoio d’argento, senza capire che non di frivolezza si trattava ma di segno d’amore, laddove il buono e il bello, quando è possibile, vanno sempre a braccetto. Silvia non lo ascoltava e il giorno che Gregorio donò per elemosina il vassoio a un povero giunto troppo tardi alla sua mensa, ne prese uno più grande. Sapeva di non sbagliare, ma non immaginava che da lì a qualche anno quel povero sarebbe tornato a bussare alla porta di Gregorio nelle vesti alate di un angelo per ringraziarlo ancora del prezioso dono e rivelare l’identità che sempre si cela dietro il prossimo accolto e sfamato. Né immaginava – ma avrebbe fatto in tempo a vederlo – che i suoi semplici insegnamenti di vita avrebbero portato Gregorio a diventar Magno, papa amatissimo in terra e benedetto in cielo. (…) Nel giardino al Celio, dove quasi certamente santa Silvia riposa (…) oggi si muovono veloci e leggere le Missionarie della Carità, felici di mostrare ai fedeli la stanza dove Madre Teresa trascorreva i suoi soggiorni romani, trovando ogni volta il tempo di dar seguito alla tradizione iniziata con Silvia: offrire il pasto ai poveri, usando quella stessa tavola di pietra che fu di Gregorio e di quanti, con l’aiuto della madre, accolse come fratelli».

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