menubò: la raccolta

Donne di latte vestite


Latte freddo, caldo, in tazza, al vetro: sono diversi i modi di consumare questo prelibato nettare a colazione e dall’autunno, ce n’è uno in più: indossarlo! E sì, una designer tedesca Anke Domaske di 28 anni ha inventato un tessuto rivoluzionario nato dal latte, ovviamente ecocompatibile e adatto alle persone con problemi di allergie e dermatiti, il  “qmilch”: sembra seta e può essere lavato e asciugato come il cotone. Così dopo l’abito fatto con il vino, arriva quello appena munto. Il termine nasce dall’unione del nome tedesco del latte, “milch”, con la parola “qualità”. Dopo due anni di ricerca la microbiologa, con la passione sfrenata per il fashion design, e la sua squadra sono arrivati ad adoperare la caseina, estratta dai residui del latte, che non possono essere utilizzati per la produzione alimentare, come  materia prima per la realizzazione di una bio-fibra.  Il tessuto risultante è la prima fibra prodotta dall’uomo senza aggiunta di alcun componente chimico. Idea rivoluzionaria, a basso impatto ambientale e soprattutto eco-sostenibile: tale tessuto infatti può essere ricavato anche dal latte scaduto o scartato dai processi industriali caseari che, altrimenti, andrebbe buttato. La fibra ottenuta si presenta in forma filamentosa, viene lavorata da un filatoio meccanico e può essere intrecciata per creare trame resistenti, o diventare un tessuto simile alla seta per sottigliezza e consistenza. Ogni chilo di tessuto costa 20 euro e per realizzarlo servono solamente due litri d’acqua (per un chilo di cotone si impiegano ben 10.000 litri di acqua!). Anke Domaske ha ricevuto diverse ordinazioni: dai produttori di automobili, per i rivestimenti interni, alle industrie farmaceutiche, interessate al materiale come prodotto ipoallergenico, all’industria alberghiera, che li impiegherebbe per realizzare lenzuola e coperte. Il tessuto essendo antibatterico, aiuta addirittura l’organismo ad una regolazione migliore della temperatura corporea, favorendo la circolazione e il suo utilizzo, se prolungato, ha sulla pelle un effetto paragonabile a quello delle maschere di bellezza (Cleopatra docet…). Ovviamente quest’ultima tendenza non è passata inosservata tra star di Hollywood come Misha Barton e Ashlee Simpson prime fan della stilista tedesca.
Alessandra

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Una spolverata di reggiano che fa la differenza


Mangiare parmigiano è tutt’altro che un sacrificio e informarsi su come acquistare quello prodotto nelle aziende emiliane colpite dal terremoto dello scorso maggio è semplice e veloce (basta consultare, tra gli altri, www.parmigiano-reggiano.it). Non stupisce dunque che già un italiano su quattro abbia fatto questa scelta (secondo i dati appena diffusi dalla Coldiretti). Gente intelligente, consumatori responsabili che mettono in pratica in modo fruttuoso le migliori regole del consumo critico. Il loro gesto non costa niente (il parmigiano regna sovrano su ogni tavola italiana), ma serve tanto. Serve a scongiurare la chiusura degli oltre 80 caseifici – per la maggior parte nel modenese – distrutti o gravemente danneggiati dal sisma e il conseguente collasso degli altri anelli della catena produttiva: stalle e fienili, mungitoi, magazzini di conservazione, studi veterinari etc… Serve, inoltre, a contenere un danno, quello causato al comparto caseario emiliano dalle scosse, calcolato in circa 200 milioni di euro (500 mila le forme di parmigiano crollate rovinosamente dagli scaffali). Serve a ridare un po’ di fiducia a migliaia di lavoratori e centinaia di piccoli imprenditori che si vedono negati i prestiti dalle banche e gli aiuti dallo Stato. E serve infine a impedire che anche la tragedia emiliana, come tante altre, sia condannata all’oblio. Mi ha profondamente colpito che quest’anno le chiacchiere da ombrellone sulla spiaggia abruzzese dove la mia famiglia trascorre le vacanze da generazioni, vertessero anche sull’acquisto intelligente e solidale di parmigiano. Non solo. Proprio sul bagnasciuga ferveva un intenso scambio di tocchi di reggiano tra la signora che si era presa l’incarico di farselo spedire e le altre bagnanti che lo avevano commissionato. Come si legge sul sito del Consorzio parmigiano reggiano o su quello della Coldiretti Emilia che tanto si è attivata con la Campagna Amica, i prodotti emiliani si possono acquistare in tanti modi, a cominciare da alcuni canali della grande distribuzione promotori di iniziative ad hoc (fino al 31 luglio in tutti i supermercati Auchan sarà in vendita il “parmigiano della solidarietà”). Lo stesso discorso vale per le altre eccellenze dell’agroalimentare di origine emiliana o lombarda: aceto balsamico, “oro nero” di Modena, salumi, miele, meloni, lambrusco. Le iniziative per venderli e sensibilizzare i consumatori su un’emergenza tutt’altro che passata sono molteplici. Basta tenere gli occhi aperti e l’olfatto all’erta.
Silvia Gusmano

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Se la formica fa chic


Non è la prima volta che l’Occidente scopre, ciò che nell’altra metà del pianeta è “l’acqua calda” e lo trasforma in una moda. Soprattutto a tavola. È il caso dell’ agricoltura urbana di cui ci siamo ampiamente occupate o delle mille e una ricette che vengono importate da  Thailandia, India o Corea e proposte dai ristoranti esotici più in voga di Londra, New York o Milano. La storia si ripete questa volta con gli insetti. Da anni ormai la Fao raccomanda un maggior utilizzo di larve, formiche e scarafaggi nelle diete delle popolazioni che soffrono carenza di cibo, sottolineandone i vantaggi: il valore nutrizionale, l’ampia disponibilità, i costi ridotti o inesistenti. In molti Paesi s tratta solo di assecondare o incrementare abitudini consolidate. In Nigeria ed in Malesia le larve, insetto rurale ad alto contenuto proteico, vengono consumate direttamente dalle piante o arrostite allo spiedo. In Colombia si tostano le formiche come i pop-corn, mentre in Cambogia le tarantole fritte sono considerate un’autentica prelibatezza. Da provare, inoltre, le termiti abbrustolite in molti Paesi dell’Africa occidentale o le cicale bollite di cui vanno matti i cinesi. E da noi? Ricordo come un incubo il pranzo di Natale in cui venne servito con gran clamore un formaggio francese doc pieno zeppo di vermi. I padroni di casa e la commensale che lo aveva portato (in valigia?) dalla Provenza ne decantavano le qualità, mentre la sottoscritta si sentiva un po’ come Pretty Woman davanti alle escargot (il che non è male: sentirsi un po’ Julia almeno una volta nella vita). E ricordo il ribrezzo che mi facevano le pesche o le ciliege bacate da bambina in campagna, al pensiero di quel vermetto vagante per la polpa. In Italia non molti hanno un’esperienza maggiore in materia, se si fa eccezione per i patiti di lumache come il nostro corrispondente Gattocherampica. Nel resto d’Europa, invece, le tavole più all’avanguardia si stanno aggiornando. In una diffusa catena di supermercati olandesi, la Sligro, già da qualche tempo è stato inaugurato il reparto grilli, cavallette&company, mentre al Mad Food Symposium, rinomato evento gastronomico di Copenaghen incentrato sull’innovazione, quest’anno le formiche hanno spopolato. A promuoverle da fastidioso insetto a ghiotta pietanza, il master chef René Redzepi e il suo Noma, eletto per tre anni di seguito il miglior ristorante del mondo dalla giuria del “San Pellegrino World’s 50 Best Restaurants Award”.  Nel suo sofisticato laboratorio, infatti, il cuoco danese ha nutrito le formichine con foglie di citronella e coriandolo per dar loro un sapore acidulo e gradevole. E le ha servite vive con salsa di yogurt. I partecipanti hanno gradito o, quanto meno hanno mostrato di gradire, perché in un happening tanto chic non si può certo storcere il naso per qualche antenna nera di troppo. Così, dopo quella sulle cicale, è arrivata per le povere, infaticabili operaie a sei zampe, la seconda grande rivincita.
Silvia Gusmano

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Ma cos’è questa crisi…

La crisi continua a imperversare e gli italiani? Sempre lì a lamentarsi. E allora cerchiamo, di trovare qualche piccolo accorgimento per risparmiare e qualche stimolo per ricominciare a sperare. Rodolfo De Angelis la cantò, così, già negli anni 30: “Ma cos’è questa crisi? pappa rapà papà!”. Un brano portato al successo anche dal grandissimo Gaber, con molta ironia, ma sopratutto con molte verità, come solo lui sapeva fare. Certo dal 1930, a giudicare dal testo, sembra non sia cambiato nulla, ma la storia ci insegna che ogni crisi porta con se, anche etimologicamente, l’idea del cambiamento e non necessariamente in peggio. Ricordate il grandissimo Einstein: “Non pretendiamo che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi può essere una grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi…” (leggi la citazione)
E quale può essere il nostro progresso in cucina in tempi di crisi?
In tempi di “magra”, ognuno cerca di arrangiarsi come può e risparmiare è diventata ormai una necessità.
Allora lista in borsetta, carrello alla mano, vediamo come dimezzare lo scontrino!
Vi avevo già parlato dell’importanza della lista della spesa che, se compilata a casa con tranquillità, ci permette di non dimenticare nulla e di non cadere in tentazione, acquistando tutti quei prodotti pubblicizzati (costosi e spesso inutili) che non ci servono.
Le regole del risparmio sono semplici e chiare (leggi anche l’articolo “dove compro se compro“). Non andate sempre ed esclusivamente nei supermercati delle grandi catene alimentari, cominciate a frequentare qualche discount dove i prezzi sono molto convenienti, anche lì trovate prodotti di buona qualità, basta provarli per capire quali sono. Non pensate che rinunciare alle grandi marche voglia dire rinunciare alla qualità, esistono molte aziende alimentari che producono buoni prodotti, senza però pubblicizzarli. Controllate, invece, sempre i volantini pubblicitari che il postino vi lascia, potrete così scoprire le offerte del momento, optando per le confezioni-famiglia, magari trovate quello che vi serve ad un prezzo nettamente inferiore. Per frutta e verdura andate al mercato, grande è la differenza nel prezzo e la qualità è nettamente superiore, soprattutto in termini di freschezza.
Rispettate la stagionalità dei prodotti: quelli “fuori stagione” sono costosi, spesso importati e a volte senza sapore.
Non compriamo troppi prodotti surgelati o già pronti, sono più costosi! Come avete visto dai nostri menù, si possono preparare molti piatti in modo veloce.
Risparmiare e magiare più sano:
più frutta e verdura, tutta rigorosamente di stagione;
optiamo per i pesci azzurri (alici, aringhe, sgombri, sardine), poveri di prezzo e ricchi di omega 3;
scegliamo carni meno nobili, le carni bianche costano meno e sono più magre, e tra le carni rosse, optiamo per i tagli meno costosi, forse un po’ più laboriosi (come polpette o polpettoni) ma sicuramente gustosi;
ricordiamo che esistono i legumi (ricchi di proteine, fosforo, potassio, ferro, vitamine del gruppo B e fibre),  basso costo e alto contenuto di proteine, molto versatili dalla pasta alle vellutate e in estate con le insalate;
recuperiamo gli avanzi più possibile, dai gambi dei carciofi, alle foglie esterne dei finocchi, entrambi lessati e passati fanno delle ottime vellutate; la classica frittata romana di pasta avanzata; il pane secco per polpettoni, panzanelle e zuppe.
Insomma in un’unica parola Fantasia, Fantasia, Fantasia!
Ivana

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Da Artusi a Parodi: tuffo nell’universo letterario dell’aspirante cuoco

Regola numero uno prima di mettersi ai fornelli. Assicurarsi di aver comprato tutti gli ingredienti? Avere in mente il piatto giusto? Possedere gli strumenti adatti? Niente di tutto questo…la vera arma segreta è farsi un giro in libreria. Io l’ho fatto e vi assicuro che si tratta di un’esperienza senza limiti, un vero e proprio bungee jumping della gastronomia. Tenetevi forte allora, i libri di cucina in commercio sono davvero tanti e il viaggio tra gli scaffali potrebbe lasciarvi senza fiato..o senza speranze, a voi la scelta. Ce n’è di ogni forma e colore, gusto e misura…
Partiamo dal reparto che definiremo dei “classici”, dove si alternano titoli altisonanti come “Il cucchiaio d’argento”, o testi considerati “sacri” come quelli di Gualtiero Marchesi o Pellegrino Artusi. Evergreen che nella vostra cucina potrebbero certamente trovare posto…ma senza portare con sé troppo entusiasmo direi.
A questi si accompagnano i banalotti dal titolo omologante “Il grande libro di”, che vanno dal “Grande libro dell’antipasto” al “Grande libro del dolce”, passando per quello della pasta, alimento mitico, Eldorado di tutti i turisti: sarà per questo che i volumi in quesione sono tradotti persino in aramaico antico, non sia mai lo conosca qualcuno e questo qualcuno decida che degli spaghetti alla puttanesca non può proprio fare a meno.
Proseguendo il nostro cammino attraverso i dolci e teneri retaggi della tradizione, incontriamo l’immancabile… “Cucina delle nonne” oppure “Le migliori ricette della nostra infanzia”, cui si accompagna senza dubbio il best seller, “In cucina, con zia Vera…” (chi sarà mai, non è lecito chiedere). Tra i tradizionalisti incalliti anche coloro che non vogliono rinunciare alle proprie origini, e alla cucina Thai preferiscono 10 a zero a’ pummarola! Per loro, ad esempio, il testo “Pane Napoli e fantasia…” ci sembra perfetto. Qui la storia del Calcio Napoli si abbina all’antica tradizione della cucina partenopea. Perché, si legge nella quarta di copertina, “se ogni gol è n’emozion’… ogni boccone a cchiù sapore”.
In uno degli scaffali scorgiamo anche “La cucina medievale”: va bene la tradizione e il non voler continuamente strizzare l’occhio alla moda del finger food, ma onestamente ci sembra davvero un tantino demodé. A questo punto inserirei la serie della grande storia, di cui eleggerei degno capolista “I maccheroni di Thomas Jefferson. Piccole storie di cucina di Oretta Zanini De Vita, dove incontriamo a tavola una lunga serie di personaggi celebri, da Magellano a Michelangelo, da Van Gogh a Napoleone, da Lucrezia Borgia fino ai Savoia. La serie “Le vite degli altri” non è finita qui: ecco ad esempio “I peccati di gola dei campioni”, nel caso non possiate vivere senza sapere cosa prediligono in tavola Fiona May o Josefa Idem, Antonio Di Natale o Francesco Totti.

Da Michelangelo al Pupone, come vedete, ormai il passo è breve… Quasi fossero specie protette da custodire con cura, ci si avventa poi contro la folta flotta dei libri Bio, vegetariani e per celiaci. Ormai, è il caso di dirlo, li troviamo in ogni salsa. Quello che ci sorprende tra tutti è un titolo: “Nobili Scorpacciate Vegane. Le 4 Stagioni”. Ora, accostare la parola “scorpacciata” a piatti come gli “Asparagi al sesamo” può apparire un po’ azzardato…ma nel mondo bio anche la “Bavarese di yogurt” dimentica il mascarpone e si inchina al ritmo naturale di Madre Terra. Da associare, notate bene, al “Libro del Tofu” (come farne a meno..), o alle “Buone ricette senza zucchero e senza sale” (che devo dire ci fanno tanta paura..) al quale personalmente preferiamo “Parlami d’amore ragù..”, che fa capolino più avanti, laddove la carne non è bandita.

Spaventata dal bio mi dirigo verso il più accogliente microcosmo della cucina per bambini. Qui troviamo tra gli altri “Slurp. Sos Pappa”, vademecum di ricette appetitose e sane per i nostri piccoli. Un mondo solo all’apparenza rassicurante, che da lì a poco spalanca dinnanzi a noi il capitolo supermamma, o super donna, cui si chiede davvero l’impossibile. Eccoli laggiù i libri delle super casalinghe: “Fare il pane in casa”? Meglio…Sullo scaffale più in basso troviamo “Fare il formaggio in casa”: eh si, avete capito bene. Tra una riunione in ufficio, l’asilo, la lavatrice, il catechismo e il nuoto credo che una caciottina al volo faccia al caso vostro. Il sottotitolo d’altro canto, è chiarissimo: Dal latte alla caciotta in dieci semplici mosse. Et voila!
Eppure a quanto pare anche la supermamma in vacanza dovrebbe riposarsi, almeno stando al volume “Il re del fornelletto”. Nota bene, non la regina…il re! Il tutto per via di questa strana convinzione italiana che vede gli uomini occuparsi di barbecue e di strani arnesi da campeggio (tentando di mostrare agli amici conosciuti in ferie una dimestichezza il più delle volte assente…) mentre le donne si affannano ai fornelli durante tutto il resto dell’anno…
Voltando l’angolo, dimentichiamo per un attimo l’affollato camping (non è difficile) e ci trasferiamo a New York City. È durante il viaggio nella Grande Mela attraverso “Kitchen Confidential”, che ci tuffiamo davvero in una travolgente avventura culinaria. Disincantato ma emozionante, Kitchen Confidential ci svela tutti i retroscena meno “gustosi” della ristorazione. Anthony Bourdain ci racconta, infatti, ciò che di piú segreto avviene all’interno di una cucina, senza tralasciare, un avvertimento: evitate la castità alimentare e divertitevi con il cibo! La gioia della cucina e del cibo è espressa, in modo del tutto differente, anche ne “La cucina del buon gusto” di Maria Rosoario Lazzati e Simonetta Agnello Hornby. Entrambe da una vita lontane dal nostro Paese e dai suoi sapori, celebrano con questo volume la felicità che dà loro il mangiare e il preparare manicaretti per gli altri. Il dono del cibo in tutte le culture le religioni, quindi, quale vera esperienza di vita. Entrambi i volumi sono tra i più venduti, ma nel nostro percorso è solo un dettaglio.

Ed eccoci giunti di fronte a lei. La Saga di Benedetta Potter Parodi. È lei, dalla sua cucina (non smette mai di ricordarcelo, abbiamo capito, è tua) la supermoglie e supermamma per eccellenza, superimpegnata ma attenta alla gioia di cucinare un pasto appetitoso sano e veloce (e chi più ne ha più ne metta) per la sua numerosissima, bellissima, elegantissima, fantasticissima (?) famiglia. Sfilano allora di fronte ai nostri occhi,  “I menu di Benedetta” “Cotto e mangiato” (anche in edizione pret a porter con “Gli appunti di cotto e mangiato”!) e “Benvenuti nella mia cucina” (ah, ci dimenticavamo, è la sua cucina!). Dagli 8 ai 25 euro (obolo necessario da donare per entrare nella “sua” cucina..). Un viaggio indimenticato nell’enogastronomia del nostro Belpaese è poi senza esitazioni, quello compiuto dalla regina (ora appannata, potremmo dire…) della cucina in tv, Antonella Clerici assieme al re indiscusso del plastico, Bruno Vespa, che abbiamo così riscoperto grande esperto di vini. “Vino & Cucina” è il loro ormai famoso volume. Già eletti coppia dell’anno. D’altro canto, la giunonica Antonellina ne ha di successi culinari alle spalle, se pensiamo alle numerose edizioni de “Le ricette di casa Clerici”, che hanno preceduto la più acerba Benedetta.. Un po’ come Il signore degli Anelli ha preceduto Harry Potter….eppure tutti conosciamo entrambe le saghe. Sono quelle epopee indimenticabili che non smetti mai di rileggere e che ti cambiano la vita per sempre. In un modo o nell’altro. Piatti gustosi e ricette appetitose, dunque, sgorgano da ognuno di questi volumi. Vi state abituando all’idea? Beh, fate molta attenzione, perché come in ogni viaggio al limite, anche in questo nostro percorso c’è il nemico da abbattere, l’incubo da cui svegliarsi, il drago da sconfiggere. Dietro l’angolo …gli scaffali tremano, e non perdonano. Vi aspetta “Il cibo ti rende giovane e bella” (titolo innocente dietro il quale si nasconde la sempre odiata dieta, travestita da sana alimentazione), oppure il più esplicito e indubbiamente minaccioso “Posso farti dimagrire” (intimidazione velata o promessa provocatoria?) o ancora, “Dimagrisci subito (in grassetto maiuscolo per non confondersi sull’obiettivo da raggiungere a denti stretti e mascelle serrate) ..mangiando!”. Non è finita: davanti a noi appare “Mangia che dimagrisci” di Filippo Ongaro, per ritrovare il giusto peso, riacquistare salute e fare “un’assicurazione sulla propria vita”. E poi l’immancabile Rosanna Lambertucci che ha sfornato per noi “Dimagrire con i perché” (molti si chiederanno piuttosto “perché dimagrire?”). E infine la temutissima dieta Dukan: (che si conferma ancora il libro più venduto: frutto di un sano masochismo o della bella stagione???). Oltre 200 pagine di consigli da colui che, dicono, ha fatto dimagrire oltre 20 milioni di persone senza porre loro limiti quantitativi o calorici. “Alimenti che vi fanno dimenticare… di essere a dieta”, recita la copertina. Sarebbe più facile dimenticare di andare in giro a testa in giù completamente nuda con i capelli verdi a pois rosa ma se lo dice lui…! Dietomania? Tutt’altro: volumi da tenere in casa. Di quelli per non sentirsi troppo in colpa, che guardi assiduamente ripetendoti: che male c’è ad averli lì?…prima o poi li aprirò. Una sola avvertenza. Non dimenticarsi mai di posizionarli accanto a un cult che abbiamo scovato in libreria… “Fritti e fritture”: un grande classico del genere! Il viaggio è ormai al termine, sono spossata ma felice di fronte alla signorina alla cassa, con il mio carrello di libri da portare a casa. Mentre penso ai fornelli e guardo la mia spesa mi viene in mente la citazione di uno spassoso film di cui non ricordo il nome con la bellissima (e magrissima) Gwyneth Paltrow (fidanzata di lungo corso del nostro beneamato Brad Pitt). Ebbene: Di fronte a un frullato ipercalorico il protagonista maschile la incoraggia: “Avanti, se non ti impegni non ti verrà mai una cellulite di qualità! ”
Linda Giannattasio

 

 

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Food Art, ovvero anche l’occhio vuole la sua parte


Che la cucina sia una forma d’arte è verità acquisita da tempo, almeno per madamaricetta, ma che l’arte possa alimentarsi di cibo è una scoperta piuttosto recente. A tutti forse è capitato di commentare un piatto ben presentato o una confezione di dolci particolarmente bella (pensiamo ai classici coniglietti di cioccolata) con l’esclamazione: “che meraviglia, è un peccato mangiarlo!”. Salvo poi divorarli in cinque minuti. Nei ricordi di infanzia di ognuno inoltre sicuramente è archiviata l’immagine di una mamma, di una nonna o di una zia che perdono ore a decorare la torta di compleanno dei propri piccini. Si sono spinti tuttavia oltre i “cake designer” protagonisti, qualche mese fa, di un’inedita gara nell’ambito della Fiera di Genova. I dieci pasticceri selezionati hanno sorpreso gli ammiratori – ben prima degli assaggiatori – con torte artistiche ispirate ai temi più vari: natura e cartoni animati, fiabe e matrimoni. Complici la glassa, il cioccolato, lo zucchero e i canditi. Gli scettici si sono chiesti se dietro tanta splendida apparenza ci fosse anche la sostanza. Forse in alcuni casi no, ma in altri, sicuramente l’estetica non va a discapito del gusto. A titolo d’esempio citiamo l’artista-pasticcera romana Roberta Gesualdo i cui dolci capolavori sono tanto belli quanto buoni (http://www.finallycakes.com/): provare per credere. Pionieri del settore, ovviamente, gli americani che, dopo le ben note torte d’effetto (notissima la fortunata serie televisiva “il boss delle torte”) e i mitici cupcakes d’ogni forma e colore, hanno elevato al rango d’opera d’arte anche l’amato sandwich.  Due famose fotografe –  Tae Kitakata e Brittany Powel – si sono cimentate, infatti, in un singolare progetto, il Sandwich Artist, che riproduce “su fetta” i più famosi capolavori del Novecento: dagli schizzi maionese e ketchup ispirati a Pollock al Bacio di Klimt, nella variante insalata, senape e sottiletta, sino a Mondrian, Hirst, Duchamp e Christo. A ben vedere, si tratta della moderna interpretazione di un connubio antico e felice, quello tra cibo e arte. Un connubio che ha dato vita ad alcune delle tele più belle della storia dell’arte italiana e internazionale e che, da oggi, madamaricetta celebra con un’apposita rubrica: piatti e pennelli…perché anche l’occhio vuole la sua parte.
Silvia Gusmano

http://www.designaside.com/11208/portfolio/sandwich-artist

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Via libera ai “cibi capitalisti” in Corea del Nord. E da noi, che colore (politico) hanno i piatti?


Cantava Gaber: “Una bella minestrina è di destra, il minestrone è sempre di sinistra”. E ancora: “Io direi che il culatello è di destra, la mortadella è di sinistra, se la cioccolata svizzera è di destra la Nutella è di sinistra”. Etichette lontane che tuttavia fanno sorridere, con il loro innegabile fondo di verità. Nell’Italia del XXI secolo che, nonostante la crisi economica, consente più o meno a tutte le tasche di arrivare al medesimo cibo, la connotazione politica del mangiare è percepita solo da palati, o meglio da menti, intellettualmente sofisticate. Ed è molto diversa dal passato, avendo anch’essa risentito della globalizzazione. A fare la differenza oggi, più che il prezzo dei prodotti, è la loro provenienza. Tra le campagne di boicottaggio contro le multinazionali che sfruttano il Terzomondo, assecondano i regimi oppressivi o violano i diritti dei lavoratori – solitamente promosse da realtà di sinistra – rientrano innumerevoli industrie alimentari: dalla Nestlé alla Chiquita, dalla Coca Cola a MacDonald. Chi bandisce dalla tavola i loro prodotti fa una scelta politica, una scelta di consumo critico.
Paradossalmente, poi, a differenza del passato, “mangiar di sinistra” costa più caro. Alcune sensibilità relative a modi e tempi di produzione del cibo rispettosi dell’ambiente – vedi Slow Food – o a canali di distribuzione e trasporto meno inquinanti – vedi il consumo a chilometro zero – solitamente sono ancora prerogativa del pensiero di sinistra e comportano oneri più elevati per il carrello della spesa. D’altro canto però nessuno si stupirebbe di vedere Bersani che addenta un McCheese, Vendola che si scola una Coca o meno che mai Renzi che organizza una braciolata di carni argentine (si potrebbe obiettare che questi signori sono ben lontani dal rappresentare un autentico spirito di Sinistra, ma questa è un’altra storia).
Le cose vanno diversamente dall’altra parte del mondo. Per rafforzare la sua immagine di monarca liberale, Kim Jong-un ha aperto le porte della Corea del Nord, ultimo “paradiso comunista”, alle prelibatezze del Capitalismo occidentale: pizza, hamburger e patatine. Fino a ieri cedere a queste tentazioni, vietate per legge, poteva significare la galera.  Il giovane leader, succeduto al padre Kim Jong-il, deve averne fatto incetta durante il suo lungo soggiorno in Europa per motivi di studio. E deve aver capito che il progresso passa anche dalla tavola. Diceva Brillat-Savarin che “il destino delle nazioni dipende dal modo in cui si nutrono”. Certo, per un paese che da decenni soffre miseria, fame e isolamento, questa liberalizzazione gastronomica apparirà come una presa in giro, ma chissà che la strada per la rivoluzione non passi proprio da qui. E che non sia proprio il cheeseburger il primo spiraglio nella diga.
Silvia Gusmano

 

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Nora Ephron

Scomparsa lo scorso 27 giugno, rimarrà tra noi attraverso l’arte il cinema il cibo, la bellezza e la soavità di tutte le sue creazioni. Nora Ephron, scrittrice, sceneggiatrice, regista, chef e, in principio e soprattutto, donna. La freschezza, l’ironia e la sensualità, sono il tratto distintivo di tutti i suoi film, a cominciare da ”Harry ti presento Sally” (per il quale ottenne una nomination all’Oscar), ”Silkwood” e ”Heartburn”. Altrettante fortunate le pellicole, ”Insonnia d’amore”, ”C’e’ posta per te” e ”Vita da strega”, che ha firmato da regista. E ancora: “Affari di cuore” (libro e film) e ”Julie e Jiulia” che valse a Meryl Streep una nomination agli Oscar nel 2009, come miglior attrice.
Per questo, e molto altro, non riesco a parlarne al passato!
Io adoro la Nora chef, scrittrice e sceneggiatrice dell’universo mondo del cibo. Nessuno come lei riesce a trasformare il cibo in star di una storia. Il Cibo che solitamente entra in scena come accessorio marginale, con lei diventa protagonista: come metafora di un pensiero, come peculiarità di un personaggio, come pilastro di una gag, come una pennellata su una tela.
Tutta la sua produzione cinematografica e letteraria è da rivedere e rileggere.
Nora conquista le luci della ribalta nel 1989 con la sceneggiatura di “Harry ti presento Sally”, diretto da Rob Reiner, dove una indimenticabile  Meg Ryan, mangiando un sandwich, finge un orgasmo davanti all’incredulo Harry. Episodio indimenticabile, quando Sally ordina le sue pietanze: “un Sandwich… e poi la torta la voglio riscaldata e non ci voglio il gelato sopra: lo voglio a lato… E che sia di fragola, non di crema se possibile, sennò niente gelato, solo panna. Ma panna vera! Se è in lattina allora niente!…” E come si conclude? Alla fine del finto orgasmo il cameriere chiede a un’anziana signora “cosa prende?” Scontata la risposta: “Quello che ha preso la signorina!”. Tutto appare concentrato sul cibo, piatti che si fanno protagonisti e, nel contempo, complementari al vero tema: l’autenticità e la finzione nel rapporto  uomo-donna spiegato, in questa scena, con migliori risultati dei più grandi trattati di psicologia.
Nel 2009  ‘Julie & Julia‘ con Maryl Streep e  Amy Adams.
New York 2002, una giovane aspirante scrittrice delusa per i sogni infranti e uno spiacevole ruolo da impiegata in un call center, per uscire dalla grigia monotonia della routine quotidiana, decide di aprire un blog, con l’obiettivo di sperimentare in un anno tutte le ricette proposte nel noto libro di cucina ‘Mastering the Art of French Cooking’ scritto da Julia Child, condividento successi e difficoltà con i suoi lettori. Il film segue così parallelamente le vicende di Julie Powell e quelle di Julia Child (interpretata da Maryl Streep), che negli anni Cinquanta s’innamora della cucina francese al punto da riuscire a pubblicare il celebre libro divenuto cult per le donne americane. Il film che ha fatto esplodere il fenomeno dei blog di cucina, cibo e dintorni, ruota intorno all’importanza dei singoli ingredienti, del piacere di combinarli ed esaltarli: gusto e condivisione, appagamento e realizzazione.
Amante appassionata della cucina, tre matrinoni – tra cui quello disastroso con Carl Bernstein (il giornalista del Watergate) –  e due figli, Nora non è mai relegata a “angelo del focolare”. Le sferzanti osservazioni che in tutte le sue opere riserva al genere maschile e ai suoi evidenti limiti, ne hanno fatto una paladina dei diritti delle donne, ai fornelli e sotto le lenzuola, in casa e sul lavoro. Memorabile il passaggio del romanzo “Affari di Cuore” -un romanzo di umorismo tutto al femminile- in cui descrive fino a che punto può spingersi la subdola furbizia dell’uomo viziato:  “Sapete cos’è un principe ebreo, vero? Se non lo sapete, vi insegno un modo semplicissimo per riconoscerlo. Basta una sola domanda. “Dov’è il burro?” Bene, sappiamo tutti dove si trova il burro, non è vero? Il burro è nel frigorifero, nell’apposito scomparto, all’interno della porta, su cui c’è scritto “burro”. Il principe ebreo, quando chiede dov’è il burro, in realtà intende dire: “Portami il burro”, ma siccome è troppo furbo per scoprirsi fino a questo punto, aggira l’ostacolo chiedendo: “Dov’è… ”.
Qualcuno ha già scritto: Nora Ephron, il vero capolavoro è la sua vita. Sono d’accordo!
Ivana

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La forza del grano

“Secondo un antico detto, “non di solo pane vive l’uomo”. È una grande verità. Ma la panificazione, nata circa quattromila anni fa, è l’emblema della nostra civiltà. Non solo il pane è il cibo più buono che io conosca – appena uscito dal forno e intinto nell’olio d’oliva, con un pizzico di sale e uno  di pepe, è ineguagliabile -, ma è stata la coltura dei cereali a spingere i nostri antenati nomadi a scegliere la vita sedentaria, da cui sono nate le prime comunità. Semina, mietitura, trebbiatura e molitura del grano non possono essere il frutto del lavoro di una persona soltanto, e così è anche per la panificazione, Il pane è sociale. Metaforicamente e no”. 
La notizia della prima trebbiatura del grano al fondo Verbumcaudo, podere nell’entroterra palermitano, confiscato alla mafia e utilizzato oggi a fini sociali, è gioiosa conferma di questa bella riflessione della scrittrice siciliana Simonetta Agnello Hornby (leggi l’intera citazione). Solo la tenacia e il coraggio di alcuni cittadini, uniti nella volontà di riappropriarsi della propria terra, ha fatto sì, infatti, che qualche giorno fa si chiudesse una storia di violenza e soprusi durata oltre 30 anni.
Il fertilissimo feudo Verbumcaudo, esteso su un promontorio al confine del parco delle Madonie, viene acquistato nel ’79 dal boss di Cosa Nostra Michele Greco, grazie alla mediazione di un deputato democristiano. Come accertato tempo dopo da Giovanni Falcone, parte della modica somma usata per la compravendita proviene dal clan camorrista Nuvoletta. Al centro del fondo appaiono due piazzole utilizzate per l’atterraggio degli elicotteri nei summit di mafia. Protagonista negli anni successivi di numerosi affari illeciti e conseguenti indagini, Verbumcaudo viene confiscato nel 1987 e nella sua storia, si apre un capitolo forse più triste del precedente. A causa di una gravosa ipoteca e, soprattutto, della fangosa connivenza che si nasconde dietro la malaburocrazia e affossa ogni tentativo di cambiamento, il bene torna nella disponibilità del suo comune di appartenenza – Polizzi Generosa – solo nel 2011. Tramite l’associazione Libera di don Ciotti, l’Amministrazione locale assegna l’ex feudo alle tre cooperative ‘Placido Rizzotto’, ‘Lavoro e non solo’, ‘Pio La Torre’.
Festa grande dunque lunedì scorso a Verbumcaudo, quando dopo mesi di lavorazione su circa 140 ettari, la maggior parte dei quali seminati a grano e coltivati biologicamente, si è aperta la prima trebbiatura. Attività comunitaria e aggregativa per antonomasia, la separazione dei chicchi dalle spighe, in passato si fondava sul reciproco aiuto tra le famiglie contadine nei rispettivi poderi. Oggi, per chi lo vuol vedere, rappresenta un richiamo all’unità e alla forza che essa può generare. Un lavoro sociale, “metaforicamente e no” – che rende omaggio al gusto della legalità.
Silvia Gusmano

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Apre Eataly Roma: un trionfo di bontà e di bellezza

La battuta migliore sull’apertura nuovo Eataly Roma è di Carlo Petrini, originario di Cuneo e padre di Slow Food: cade proprio nel giorno – ha osservato sornione – in cui chiude il Billionaire di Briatore, e come il Billionaire è opera di un cuneese, Oscar Farinetti… “mi chiedo quale sia la notizia migliore…”
Per noi romani non c’è dubbio: l’inaugurazione del 19.mo Eataly del mondo, il quarto d’Italia dopo Torino, Genova e Bologna – è una notizia grandiosa, in tutti i sensi. Prima di tutto nel senso delle dimensioni. Ospitata nell’Air Terminal della Stazione Ostiense –  affascinante edificio postmoderno costruito dall’architetto spagnolo Julio Lafuente per i Mondiali del ’90 e rimasto quasi in disuso per anni – la nuova creatura di Farinetti si snoderà su quattro piani e  17 mila metri quadrati. E accoglierà circa seimila buongustai ogni giorno, affidandoli alle cure di oltre 500 giovani dipendenti, tutti i giorni dalle 10 a mezzanotte.
Grandiosa poi l’offerta: più di 20 ristoranti tipici regionali o tematici – dall’Osteria Romana all’angolo dei fritti – punti vendita d’ogni sorta e 40 aree “didattico emozionali”, pensate per raccontare, mostrare e insegnare la cultura del buon cibo. I visitatori potranno assistere in diretta alla produzione di mozzarelle di bufala, alla lavorazione del pane, alla creazione del cioccolato. Tutto, naturalmente, con ingredienti nostrani di prima qualità. Il progetto nasce, infatti, dalla convinzione che soprattutto in un momento di crisi come quello attuale, l’economia italiana debba valorizzare al massimo le sue risorse migliori e molte di esse sono legate al settore alimentare. I consumatori verranno così invitati ad apprezzare non solo il buon gusto, ma anche il rispetto dell’ambiente e della salute nei processi di coltivazione e, allo stesso tempo, il valore dell’impresa agricola. Nella conferenza stampa di inaugurazione il ministro Catania ha ricordato con rammarico, che sul prezzo finale del prodotto, l’agricoltore guadagna appena il 15 per cento.
Con queste premesse non poteva mancare ad Eataly Roma la benedizione di alcuni guru della buona cucina a 360 gradi. Oltre al fondatore di Slow Food Carlo Petrini, erano presenti al taglio del nastro chef del calibro di Antonello Colonna, Anna Dente, Cristina Bowerman, i fratelli Cacciani e Filippo La Mantia, del cui ristorante questa settimana vi proponiamo la recensione.
Presente, inoltre, don Ciotti (i prodotti di Libera saranno in vendita a Eataly Roma) che ha denunciato la violenza con cui la mafia ha rialzato la testa in tante zone d’Italia, prendendo di mira proprio le imprese agricole “sane” e mandando in fumo ettari ed ettari di terreni coltivati in Sicilia, in Calabria, nel Lazio, in Puglia.  E presenti anche diversi esponenti del mondo dello spettacolo e della cultura – nel nuovo tempio del gusto oltre a un centro congressi è stata allestita anche una libreria – a conferma della filosofia di fondo del progetto: coniugare  buon gusto, bellezza e piacere dell’incontro. Oscar Farinetti la ritiene una formula vincente e, con un pizzico di sana presunzione, ha profetizzato per Eataly Roma un futuro scintillante: “Siamo certi di battere Harrods e i posti più cool al mondo. E contiamo che i turisti dopo aver apprezzato il Vaticano e il Colosseo, verranno qui per concludere in bellezza”.  Madama Ricetta, nel suo piccolo, porterà a Eataly un personale in bocca al lupo domani all’inaugurazione: a presto per i resoconti.
Silvia Gusmano
www.roma.eataly.it

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Madama Ricetta nasce all’ombra del Senato dall'alleanza di tre colleghe ... leggi la storia

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