menubò: la raccolta
Filippo La Mantia
“recensioni”
Era da tempo che sognavo di gustare i piatti di Filippo La Mantia e devo dire che le mie attese non sono state deluse.
Una location fantastica, nell’hotel Majestic nella bellissima Via Veneto, a pochi passi dal cuore della ormai fu “dolce vita romana”. Ho cenato nella terrazza, ambiente elegante e raffinato, che con i suoi bellissimi arredi regala un’atmosfera da film. Ambiente caldo e confortevole, staff di sala professionale e informale: tutto ti fa sentire a tuo agio. Splendida la sala d’accoglienza: una galleria di pezzi d’antiquariato e pregiati libri su arte e cultura siciliana, arricchita da una modernissima cucina a vista.
Nel menu semplice e sfizioso, antico e moderno allo stesso tempo, creatività ed innovazione si sposano con la cucina siciliana più tradizionale. Sapori del passato esaltati dalla freschezza degli agrumi e dai deliziosi accostamenti, come nella parmigiana di sgombro. L’esaltazione nei piatti è data dal profumo dei singoli ingredienti, che si affermano nel palato e aprono al gusto con tutta la loro semplicità. Il pesce spada al salmoriglio siciliano, morbidissimo con un intenso profumo di origano che sprofonda e si abbandona al sapore del pomodoro fresco. Il classico cous cous, dove le vongole portano il mare incontro alla terra con un pesto leggero di profumato basilico che regala al piatto un’intensa aromaticità.
Sui dolci potrebbe fare di più!
Ottimo il rapporto qualità/prezzo. Insomma che dire: meraviglioso è poco! It’s fantastic!
Ivana
http://www.filippolamantia.com/
Donne di vino vestite
Notizia farlocca come direbbe Luciana Littizzetto: dal prossimo Carnevale sarà possibile mascherarsi da vino rosso. Senza bottiglia, bicchiere o damigiana, ma indossando con gran stile direttamente il nettare degli Dei. A renderlo possibile i ricercatori della Western Australia University, guidati dallo scienziato Gary Cass e l’artista contemporanea Donna Franklin, i quali hanno trovato un modo per produrre tessuto usando un processo di fermentazione simile a quello delle bevande alcoliche: vino rosso se amiamo il colore della passione (come Madama Ricetta), ma anche bianco, rosè o biondo birra. Il neonato modello alcolico si chiama Micro’be’ e la sua fibra ricorda il cotone, pur apparendo assai più sensuale. D’altronde una donna di vino vestita, sicuramente sa il fatto suo e sa divertirsi, anche se, assicurano gli stilisti/studiosi, “non ci si ubriaca per assimilazione epidermica”. Indossare per credere.
S.G.
Spreco di energia – spreco di cibo: un circolo vizioso da spezzare
Circa due milioni e mezzo di tonnellate di frutta, duecentomila di carne e cinquecentomila di formaggi, nel 2010 sono finite nelle discariche italiane. Uno spreco denunciato ieri, in occasione della 40sima Giornata Mondiale dell’Ambiente, dal Barilla Center for Food and Nutrition, ma in realtà noto da tempo. Ogni anno, nel mondo, oltre il 30 per cento della produzione alimentare viene sprecata, sia durante i processi di coltivazione e trasformazione del cibo, sia nelle fasi di distribuzione e di consumo domestico. Tale dato, registrabile soprattutto nei Paesi più ricchi, ha un impatto disastroso sul sistema energetico ambientale. Si è calcolato, che solo nel Regno Unito, il cibo sprecato comporta l’inutile dispersione di circa 300 litri d’acqua al giorno per ogni cittadino. Ciò in ragione dello stretto rapporto esistente tra tutte le risorse naturali. Ogni coltivazione implica un notevole consumo idrico e la stessa produzione energetica richiede spesso l’impiego dell’oro blu. Senza parlare dell’inquinamento. Se si riuscissero a dimezzare gli sprechi di cibo, si ridurrebbero le emissioni di gas serra di almeno il 5 per cento (come togliere dalla strada un auto su cinque, in alcune zone del pianeta). Si spreca energia non solo producendo il cibo che non verrà consumato, ma anche gestendo il suo smaltimento. Un insulto alla povertà e all’ambiente che ha drammatici risvolti sociali. La popolazione mondiale infatti cresce di 80 milioni di individui l’anno (siamo oltre 11 miliardi) e come noto oltre la metà non ha accesso a un quantitativo sufficiente di cibo, acqua ed energia. Di quest’ingiustizia siamo tutti responsabili. Ogni volta che ci sediamo a tavola. Per il cibo che lasciamo sciviolare nella pattumiera, per quello esageratamente superfluo che consumiamo, per quello che compriamo senza pensare, ignorando quanta strada ha fatto per arrivare nei nostri piatti o chi lo ha lavorato. Mangiare in modo più consapevole e responsabile non solo è possibile, ma è doveroso. Per la facoltà di agraria dell’Università di Bologna è diventata una sfida. Qui, infatti, il preside Andrea Segrè e il suo team hanno dato vita ai Last Minute Market, una rete di progetti presente in tutta Italia e volta al recupero di beni invenduti a fini caritativi, e al contempo hanno avviato una fitta serie di iniziative per sensibilizzare istituzioni e opinione pubblica su questo tema. Grazie alla loro mobilitazione, il Parlamento di Strasburgo ha dichiarato il 2014 l’Anno europeo contro lo spreco alimentare”. Come si legge sul loro sito, tutti possiamo fare qualcosa – imprenditori, cittadini e consumatori – per spezzare il circolo vizioso spreco di energia- spreco di cibo. Basta volerlo.
www.lastminutemarket.it
Silvia Gusmano
Il gusto della legalità
Allora la farina c’è, il sale anche, il lievito pure, cosa manca? Ah quasi me ne dimenticavo: il sapore della legalità.
Non si tratta delle prima ricetta surreale di questo blog, ma di un modo per iniziare a raccontare come oggi sia possibile, grazie a tanti italiani che lottano ogni giorno contro le mafie, aggiungere il sapore della legalità a molti piatti ed a tutte le tavole.
La storia comincia da lontano, almeno dal 1982, quando una legge fortemente voluta da Pio La Torre (ex parlamentare del PCI ucciso da Cosa nostra proprio poco prima che la sua legge che istituiva il reato di mafia, il 416 bis, fosse approvata) rende più efficace il sequestro dei beni alle mafie. Poi continua nel 1994, quando si avvia una raccolta di firme per una legge popolare che permettesse il riutilizzo sociale dei beni mafiosi. Quella raccolta di firme fa si che nascano due cose: una legge che effettivamente privilegia il riutilizzo a fini sociali dei beni sottratti a ‘ndrangheta, camorra e cosa nostra, e l’associazione Libera, promossa da don Luigi Ciotti con tante associazioni di volontariato e di promozione sociale.
Da quel momento Libera ha prodotto molte nuove iniziative ma quella che ci interessa qui è la coltivazione dei campi confiscati attraverso cooperative sociali per produrre una sempre più ampia varietà di prodotti alimentari. Con questa scelta si raggiungono diversi obiettivi: si dimostra che la scelta della ribellione alle mafie produce anche lavoro pulito; si recuperano e si migliorano tradizioni di lavorazione della terra e dei prodotti; si crea una vera e propria filiera della legalità diffondendo i prodotti in botteghe ad hoc o nei corner della COOP, che ha sostenuto e sostiene questa iniziativa dall’inizio.
Attualmente le cooperative attive sono 8, per lo più nel sud Italia, ed alle attività tradizionali agricole cominciano ad affiancarsi anche altre attività nel campo dell’alimentazione, come il caseificio di Castel Volturno che è partito nel mese di maggio. I prodotti di queste aziende, tutte biologiche e con un preciso disciplinare di produzione, sono veramente tanti, tutti legati alle tradizione della terra dove vengono lavorati: le paste e le conserve siciliane, i paccheri di Gragnano e la mozzarella di bufala campana, l’olio e le specialità calabresi, i tarallini e le friselle pugliesi. E da tutte le regioni arrivano vini in costante miglioramento.
I prodotti si possono tutti acquistare sia on-line sia nelle botteghe della legalità (mentre nei corner della COOP se ne trovano solo alcuni). Le botteghe ormai sono presenti in 12 città, in tutta Italia, e sono ormai un modo buono e sano per dare una mano alla lotta alla mafia. Perchè la lotta alla mafia si fa anche con tanti gesti quotidiani consapevoli.
E poi volete mettere il piacere di mangiare e brindare alla faccia delle mafie!
Riccardo Guido
LE BOTTEGHE NELLE CITTA’ http://www.liberaterra.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/14
ACQUISTARE ON LINE http://www.bottegaliberaterra.it/it/home/
La scorta dello scandalo
Dove compro (se compro)
cosa, quando, quanto, perché, fatto da chi, fatto come, fatto dove: sono le domande che il consumo critico ci propone/impone prima di ogni acquisto.
Rajendra Pachauri, coordinatore dell’organismo dell’Onu Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change), premio Nobel 2007 per la Pace per aver reso il cambiamento climatico un’emergenza da tutti percepita, esorta: «Per aiutare il clima, ricordiamoci di non comprare qualcosa semplicemente perché è in vendita ma solo se ne abbiamo davvero bisogno».
Ma c’è un’ulteriore domanda che sarebbe utile farsi: «Da chi comprare? ». Ecco una classifica, dal peggio al meglio.
1) Centri commerciali. Riconosciuti templi del consumismo annoiato, terminali di un eccesso di produzione e consumi, fabbriche di creazione dei sogni, hanno anche impatti ambientali diretti legati alla loro “fisicità”. Sono “grosse opere”, fungazioni che cementificano sempre più territorio. Hanno costi energetici altissimi, con i loro enormi spazi a clima artificiale tutto l’anno, bolle di aria condizionata sparata e riscaldamenti altrettanto folli.
2) Supermercati alimentari o catene del bio. Non permettono – a differenza dei mercati a bancarelle – di comprare verdura e ortaggi sfusi, mettendoli in borse portate da casa. Azione possibile: chiedere che tengano prodotti alla spina come detersivi, cosmetici, pasta e legumi.
3) Negozi di quartiere. Quasi spazzati via dei centri commerciali, il loro rilancio è raccomandato dai fautori della decrescita.
5) Botteghe del commercio equo. Raccomandabili per il “prodotto” in vendita, sono in genere attente anche alla faccenda “plastica usa e getta” e all’ecologia dell’abitare. Magari, possiamo evitare gli acquisti inutili, di frutti tropicali e di “prendipolvere”…
6) Bancarelle. Dal punto di vista energetico ed edilizio i mercati all’aperto sono i meno impattanti. Non c’è costruzione perenne, non c’è aria condizionata né riscaldamento, non c’è in genere illuminazione perché sono mattutini. Ma, anche al mercato, occorre evitare gli abiti nuovi a pochi soldi, frutto di sfruttamento del lavoro e dell’ambiente; i cibi provenienti da lontano; gli shopper di plastica.
7) Bancarelle dei produttori. Ormai diversi mercati rionali hanno spazi assegnati alla vendita diretta. Si accorcia il circuito e si paga a chi direttamente ha lavorato per fare il prodotto.
8) Bancarelle dell’usato (abiti, mobili, ecc). Come sopra quanto alla “leggerezza” edilizia ed energetica della struttura. Molto meglio delle precedenti quanto a “contenuto”: l’usato è l’eterno ritorno, la lunga durata ne ammortizza l’impronta ecologica.
9) Bancarelle dell’usato solidale (Emmaus, Mani tese). Uniscono tutte le virtù dell’equità ecologica: leggerezza della struttura, leggerezza del prodotto (vedi sopra) e solidarietà nella destinazione del proventi.
10) Produttori tramite gruppi d’acquisto. Comprare direttamente dal produttore è cosa buona pulita e giusta… se non dobbiamo fare lunghi tragitti individuali in auto per scovarlo. Un buon modo sono i gruppi d’acquisto (Gas) di alimenti, prodotti per l’igiene, perfino pannelli solari.
Marinella Correggia
* pubblicato su www.adistaonline.it
Chi mangia bio si sente dio?
Silvia Gusmano
Siamo ancora noi “questo piatto di grano”?
Perché De Gregori, cantautore simbolo della generazione che sognava di cambiare il mondo, ha venduto una delle sue creazioni più felici al Monte dei Paschi di Siena, banca sotto inchiesta per aggiottaggio con un buco in cassa di oltre otto miliardi di euro? Per soldi, immaginiamo. E se stupirsi è banale, incazzarsi è lecito. “La Storia”, canzone mito dell’artista romano, è la colonna sonora dell’ultima pubblicità televisiva del Monte dei Fiaschi, un’autocelebrazione dai toni patriottici che fa il paio con una recente campagna di Unicredit in versione Caritas (“se sentite il bisogno di azioni concrete, aiutateci”). Umiliata, offesa, prostituita. E, soprattutto, sfigurata alle orecchie di quanti l’hanno cantata sulla spiaggia intorno al falò, davanti alla scuola appena occupata, ai concerti-evento che hanno segnato la loro crescita. Sempre credendo fortemente nel suo messaggio e nella responsabilità individuale che comporta: “la storia siamo noi, siamo noi questo piatto di grano”. S.G.
Brava Lucianina!
Plausi e complimenti a Luciana Littizzetto per il suo secondo show a “Quello che (non) ho”. Durante la prima puntata della trasmissione firmata Fazio-Saviano, la comica torinese è stata molto deludente, sciorinando, intorno alla parola donna, una serie di osservazioni banali e battute pesanti. La sera seguente, tuttavia, si è ampiamente riscattata, sebbene il termine scelto fosse di gran lunga meno nobile: “stronzo”. Tra gli stronzi patentati portati a titolo di esempio, tra la Santanchè, Lavitola e quelli che chiedono “con o senza fattura?”, la Littizzetto ha additato un manipolo di mamme inglesi contrarie alla presenza di una conduttrice senza un braccio in un programma tv per bambini. Sacrosanta la condanna di Luciana e lodevole la sua scelta di portare, almeno per una volta, il tema dell’handicap alla ribalta della prima serata, ma ancor più giusto il suo messaggio di fondo: neanche da noi, si vedono presentatori, starlette o comici con qualche handicap (al massimo qualche concorrente dato malamente in pasto alla morbosità collettiva): saremo mica un po’ stronzi anche noi? S.G.
L’odore di bruciato
La notizia che una cicca mal spenta in un ufficio della Camera ha generato un falso allarme incendio, allertando per qualche minuto i passeggiatori del Transatlantico e i pompieri di Palazzo, ha campeggiato per ore sull’home page di tutti i principali quotidiani. Per quale motivo? “Perché proprio laddove si fanno le leggi, tra cui il divieto di fumo nei luoghi pubblici, le leggi si violano” hanno scritto in molti con indignazione. Eppure c’è dell’altro. C’è che la puzza di bruciato forte, insistente e continua che dalle stanze del potere si propaga nel Paese, genera in tutti noi un continuo stato d’ansia. Forse fino a qualche tempo fa la notizia in questione non sarebbe nemmeno stata riportata, ma oggi si teme, da un momento all’altro, il divampare dell’incendio, l’attentato eclatante, l’andata in fumo della nostra democrazia. Oggi si vive perennemente sui carboni ardenti e neanche questa, ahinoi, è più una notizia. S.G.
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