menubò: la raccolta

Prima colazione slow: nutrimento per lo spirito

Tutti sappiamo che la prima colazione è il pasto più importante della  giornata e quasi tutti lo saltiamo, lo trascuriamo o lo ingurgitiamo a tempo di record. Per vedere una famiglia italiana che si siede intorno al tavolo la mattina bisogna sorbirsi una pubblicità del Mulino Bianco. E questo è davvero un peccato. Una prima colazione come si deve, infatti, non solo ci dà la carica per l’intera giornata, a tutto vantaggio del rendimento scolastico/lavorativo e della salute, ma cosa ben più importante rifocilla  magnificamente lo spirito. 
Per quanto insonne possa essere stata la notte appena trascorsa, l’odore del caffè suona sempre come una promessa di tempi migliori. Quando vivevo da sola, la colazione era il momento del giornale sfogliato con calma,  delle migliori intenzioni da mettere nero su bianco nell’agenda, di un nuovo, più breve, conto alla rovescia per gli eventi clou della settimana. Il momento in cui tutto era possibile. Oggi, che le tazze a tavola sono tre, il pasto mattutino è dedicato alle chiacchiere allegre. Nessuno, al risveglio, ha voglia di discutere o di pensare alle bollette, il telefono tace, la tv è spenta. Tutte prerogative che mancano alla cena, quando a tavola facilmente si intromettono il telegiornale (o Un posto al Sole, lo confesso), il malumore dell’ufficio, le beghe domestiche, la stanchezza (e quindi il nervosismo) del piccoletto. E poi bisogna cucinare, apparecchiare, ripulire. Il piacere del pasto e della relazione umana che lo accompagna fa spesso i conti con la fatica dei gesti e con la pesantezza dello spirito.  
Ben venga allora l’iniziativa promossa in questi giorni a San Vittore Olona, nel milanese, dove nella scuola media Giosuè Carducci si insegna ai bambini e alle loro famiglie a fare colazione. Come? Offrendo un ricco buffet a base di latte e dolci e dando loro tutto il tempo per goderne. Risale a poche settimane fa, infatti, l’ultimo sondaggio (di Skuola.net) che rileva le difficoltà di apprendimento e di concentrazione degli studenti che al mattino digiunano (30 su 100) o bevono solo il caffelatte (la maggioranza). Dare la colpa alla fretta e al perenne ritardo che caratterizza l’inizio della giornata sarebbe ingiusto. È un problema di abitudini. Rinunciare a dieci minuti di sonno per cominciare con il piede giusto è uno sforzo possibile. In tanti altri Paesi,  prima di tutto in America che almeno in questo ci fa da maestra, la colazione è un passaggio irrinunciabile del rituale mattutino. In Nord Europa, spesso, si fa il pieno di energie a suon di salsicce, uova fritte e cetrioli sottaceto, mentre in Cina la parola colazione si traduce con “riso del mattino”. Anche da noi, sino a un secolo fa, non era molto diverso. Gli italiani, ancora in gran parte contadini, all’alba di sedevano a tavola per consumare un pasto completo, indispensabile ad affrontare le fatiche della terra. Poi è arrivata la Grande Guerra e le abitudini imposte ai militari al fronte (colazione a base di latte e pane, o gallette) sono diventate nazionali. Ricordo mio nonno, in vacanza al mare, che snobbava i biscotti e le marmellate di noi nipoti, per inzuppare nel suo caffelatte solo il pane .  Che goduria quelle colazioni estive, senza fretta, cariche di attesa per le spensierate ore a venire. Momenti fondanti delle mie relazioni familiari più felici. La mente, da poco risvegliata, era una tabula rasa aperta e ricettiva nell’incontro con l’altro, mentre lo spirito gioiva ancora per i sogni più belli. Ho rivissuto le stesse sensazioni poco tempo fa, leggendo un articolo di honestcooking.com, eccellente web food magazine che nella rubrica Sense Memory, definisce la colazione “confortante”: un rituale insostituibile che rafforza il nostro equilibrio personale e il rapporto con chi ci circonda.
Silvia Gusmano

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Un ortotavolo per la vita

Un ortotavolo come regalo di nozze: può andare? “Che accidenti è un ortotavolo?” si chiederanno anzitutto in molti. Trattasi di un tavolo, di misura variabile a seconda dello spazio a disposizione, ripieno di terra, dove crescono – si spera – frutta e verdura. È pensato per chi ha una terrazza in città e sente nostalgia della campagna. E qui la seconda domanda: “perchè regalarlo per un matrimonio?”

Perchè fa chic, naturalmente. Coltivare pomodori fuori dalla finestra con il sottofondo di clacson e l’odore di smog nell’aria è l’ultima moda. E a noi piace perchè anche se il risultato non è quello dei pomodori biologici cresciuti al sole campestre, rappresenta comunque una risposta a molteplici storture del mondo moderno.

L’agricoltura urabana, nata in Germania intorno alla metà dell’800, negli ultimi tempi sta conoscendo sviluppi inediti, ben più significativi dell’ortotavolo. Secondo i dati della Fao, gli orti urbani, ossia gli spazi verdi pubblici concessi ai cittadini per uso agricolo, potrebbero diventare un’efficace soluzione alla “bomba demografica” che sta esplodendo nei Paesi in via di sviluppo. Nelle aeree più povere del pianeta, infatti, nascono ogni dodici mesi agglomerati urbani pari a cinque volte la città di Pechino. La popolazione cresce vertiginosamente e, al contempo, fugge dalle terribili condizioni di fame e miseria che affliggono le zone rurali. Avere città più verdi e “coltivabili” significherebbe, soprattutto per le fasce più povere di questi paesi, la sicurezza di mangiare cibo sano e in quantità sufficiente.

E dall’altra parte del pianeta, quella sommersa dal superfluo, che posto occupa l’agricoltura urbana? Anche qui, per motivi diversi, rappresenta un fenomeno in espansione. Sicuramente la crisi in corso le ha dato una notevole spinta (le coltivazioni fai da te consentono un bel risparmio), ma alla base del suo successo troviamo prima di tutto il desiderio di sapere cosa si porta in tavola. L’incubo inquinamento (dell’aria, dell’acqua, del terreno) perseguita i consumatori, mentre i cibi bio in vendita hanno quasi sempre prezzi esorbitanti. Inoltre mangiare i prodotti cresciuti nell’aiuola all’incrocio sotto casa o nel proprio ortotavolo è molto “eco frendly”, perché a bassissimo consumo energetico. Tutti ricordiamo Michelle Obama immortalata con le figlie nel suo orticello alla Casa Bianca, ma anche da noi non mancano esempi virtuosi.

Diversi comuni in tutta Italia tramite bandi e concorsi pubblici, concedono ai cittadini alcuni spazi verdi perché, letteralmenbte, li facciano fruttare. Nascono così gli orti urbani, la cui prima finalità è quella di promuovere la socializzazione e il recupero dei valori comunitari. A trarne vantaggio sono le fasce più vulnerabili delle realtà cittadine, a cominciare dagli anziani e dai pensionasti spesso protagonisti in prima linea di queste attività. Soltanto nella capitale, secondo un progetto dello studio UAP –Zappata Romana –  sonoi già 90 i giardini coltivati a frutta e verdura, giardini in alcuni casi rinati dopo lunghi periodi di abbandono e degrado. Chi ci lavora, si batte per un modello di vita e di consumo più sostenibile rispetto a quello imposto dalla frenesia cittadina. Nella sua forma più estrema, lo stesso ideale anima le esperienze di Guerriglia Gardening, protesta non violenta di matrice ambientalista, che si esprime attraverso l’occupazione e la coltivazione di terreni pubblici in aree urbane.

Per tornare alla domanda iniziale, allora, possiamo dire che l’ortotavolo, nel suo piccolo, rappresenta un frutto prezioso di questa rivoluzione di idee e sentimenti in atto nelle città di tutto il mondo. E portarlo in casa, anzi sul terrazzo, di una giovane coppia in procinto di sposarsi, ci sembra un bellissimo regalo.

Silvia Gusmano

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Dieta Dukan: vangelo o eresia?

Se avesse vinto un Nobel sarebbe meno famoso. Pierre Dukan, neuropsichiatra convertitosi alla dietologia, è al momento uno dei medici più noti al mondo. Una notorietà che si declina in modi assai diversi a seconda del pubblico. Nell’universo delle starlette e dei loro fan è un idolo, un genio, un profeta. È lui che ha modellato il fisico di Kate Middelton nei mesi precedenti le nozze regali, secondo le rivelazioni della sua stessa mamma. Ed è sempre lui che ha ridato forma a Penèlope Cruz dopo il parto e a tante altre che vivono del proprio sex appeal (da Jennifer Lopez a Nicole Kidman). Come? Con una dieta in quattro fasi che aborrisce oltre ai soliti carboidrati, grassi e zuccheri, anche frutta e verdura. I chili di troppo si abbattono, secondo la disciplina Dukan, a suon di carne, pesce e (pochi) latticini magri. Per lo meno nelle prime settimane. C’è da rimetterci il fegato, il cuore e tanto altro, ma così sia. Già 13 milioni di persone hanno sperimentato quest’overdose di proteine e poche meno hanno collezionato i suoi libri monotematici (“La dieta Dukan” in tutte le varianti possibili: con foto, con ricette, con consigli sugli alimenti etc…). In Italia i lettori del dietologo francese sono oltre 600mila. E tutti, sentendo i discorsi per strada o sbirciando in qualche forum di aspiranti magri, hanno adottato il suo linguaggio da setta massonica: fare due giorni d’attacco e uno di purificazione, dare uno shock al corpo, risvegliare il metabolismo, non abbassare la guardia nella fase della stabilizzazione etc… Dukan, infatti, 71enne arzillo e narcisista, tutt’altro che simpatico, si dà grandi arie da santone: definisce il suo lavoro una missione, lancia anatemi contro l’obesità piaga dell’Occidente, grida contro un’economia malata che vive del superfluo e ultimamente si è intrufolato anche nella campagna elettorale francese. Ha dichiarato: “Il candidato socialista all’Eliseo Hollande prima della mia dieta sembrava un fumetto. Ora ha un aspetto napoleonico”. Con buona pace di quanti ritenessero che le preoccupazioni estetiche (dai tacchetti camuffa nani, ai parrucchini camuffa pelate) fossero prerogativa del centrodestra o che Napoleone non rientrasse tra i padri nobili del centrosinistra. Dopo la bistecca, infatti, il piatto forte del dott. Dukan sono le provocazioni. In una lettera aperta indirizzata al futuro presidente di Francia ha chiesto che all’esame di maturità vengano valutati (e penalizzati) i chili in eccedenza, come se il troppo grasso ostruisse il cervello degli studenti. Scontata la pioggia di critiche dei suoi tanti detrattori, provenienti per lo più dal mondo accademico. I peggiori nemici di questo guru dei tempi moderni sono proprio i suoi colleghi che, fronte compatto soprattutto in Francia, da mesi tentano di screditrarlo (attualmente vogliono radiarlo dall’ordine dei medici). E, naturalmente, così facendo pompano sempre di più la sua fama. Nell’ordine, lo accusano di: vendere fumo perché i chili persi con una dieta tanto sbilanciata si recuperano alla svelta; avvelenare i suoi seguaci, perché l’assunzione di così tante proteine danneggia diversi organi vitali; propagandare modelli distorti (vedi il maturando taglia 38); fare tutto ciò per mero interesse economico (inutile dire che Dukan sta diventando milionario). Esagerano? Parlano spinti solo dall’invidia? Certamente no. Da tempo la comunità scientifica raccomanda una dieta quanto più variata possibile e mette in guardia l’Occidente sulle conseguenze di un consumo esagerato di carne. Ma, d’altro canto, alla vigilia dell’estate, in tempi di dieta ferrea non solo per le starlette e, a quanto pare, per i politici, ma per milioni di occidentali sedentari e cicciottelli che sognano le vacanze al mare, che male c’è a farsi ammaliare un po’ da messier Dukan? Ottima è la misura, dicevano i Greci. E in questo caso è vero più che mai. Con qualche piccola postilla (tipo: bevete tanto così i vostri reni non vi malediranno; è una dieta come tutte le altre, il segreto è sempre e comunque il digiuno; non vi accanite troppo e troppo a lungo contro i rotolini di troppo) forse la dottrina Dukan non è da condannare a priori.
Silvia Gusmano

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Langhe di Pasqua

Il buon bere e il buon mangiare allargano i cuori: le Langhe in primavera ne sono prova lampante. Lassù tra colline, boschi, fiumi e castelli, tra nocciole, formaggi e cioccolata, il godimento regna sovrano. A dispetto del tormento e dell’inquietudine che, complici alcuni dei retaggi più suggestivi della nostra letteratura, si tende ad associare a quest’angolo di Piemonte tra Cuneo e Asti. Chi ha la fortuna di visitarlo la prima volta alla luce di un sole splendente, magari nei giorni dedicati per definizione ai piaceri della tavola – Pasqua e Pasquetta – fatica a trovare traccia della malinconia struggente di Pavese, della malora di Fenoglio o della gravità dell’Alfieri, tutti figli nobili delle Langhe. Incontra invece gente allegra e leggera con il bicchiere sempre mezzo pieno tra le mani, bicchiere da offrire e condividere. Gente curiosa, aperta, goliardica, con un senso dell’ospitalità e un orgoglio per i tesori di casa propria che ricordano certi spaccati del Meridione.

Gente concreta e combattiva che, all’indomani dell’8 settembre, ha fondato ad Alba – sua capitale storica ed economica – la prima repubblica partigiana d’Italia  e che ancora oggi intitola alcune delle annate migliori della sua produzione vinicola d’eccellenza a “La Resistenza” (riserva Barolo 2007 della Cantina Borgogno a Barolo).

Forse noi (sei amici rifugiatisi qui da Roma e da Milano per una spensierata “Pasqua con chi vuoi”) abbiamo sbagliato stagione. Dicono, infatti, che il momento migliore per visitare questa distesa di colline sia l’autunno, quando la nebbia avvolge tutto in un’aurea romantica, la neve si prepara a seppellire per mesi gli illustri vigneti del Barbera, del Barbaresco e del Dolcetto d’Alba, il freddo spinge a rintanarsi nelle migliaia di cantine che collezionano le migliori etichette degli ultimi trent’anni e il leggendario tartufo bianco d’Alba (in Fiera da 6 ottobre al 18 novembre) attira intenditori e appassionati da tutto il mondo. Lo scopriremo presto. Salutandoci, dopo un ultimo intenso omaggio alla cucina locale, ci siamo dati appuntamento tra sei mesi, stesso posto, stesso obiettivo: godere dei piaceri della vita. Nel frattempo però non abbiamo rimpianti: le Langhe di Pasque ci sono apparse come l’emblema stesso di una gioiosa e contagiosa Resurrezione. 

Silvia Gusmano

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Madama Ricetta nasce all’ombra del Senato dall'alleanza di tre colleghe ... leggi la storia

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