menubò: la raccolta

Diffidate dell’uomo che vuole sempre pagare il conto

Non so quante lettrici giovani (under 30) ci siano tra i fan di MadamaRicetta, ma spero tante, perché questa riflessione è per loro. O per chi, anche over 90, è ancora disposta a cambiare un po’ il mondo. Premessa: a Milano è nata la “Carta2per1” che, al costo di 49,90 euro l’anno, permette di consumare un numero illimitato di cene infrasettimanali per due, pagando metà conto. Al momento sono oltre cento i locali della città che hanno aderito al progetto, offrendo ai loro clienti questa occasione. È una bella trovata, uno scossone intelligente non solo all’attuale crisi economica, ma anche ad alcune consuetudini sociali ammuffite e pericolose. Basti pensare a cosa accade quando arriva il conto della cena a una coppia mista. Nella grande maggioranza dei casi è lui a tirare fuori il portafoglio e, ciò che è peggio, lei se lo aspetta e ne è contenta, scambiando per galanteria uno dei sintoni più insidiosi della disparità tra i sessi. Tanto insidioso quanto all’apparenza innocuo. Cercando in rete su diversi forum femminili la risposta al quesito “è giusto che l’uomo paghi il conto?”, si legge troppo spesso: “più che giusto, sacrosanto”. A richiederlo sarebbero, la tradizione, il bon ton e la peggior nemica delle donne, l’ultramillenaria cavalleria. Quella secondo cui all’uomo-cavaliere, forte e senza paura, spettava il compito di garantire sicurezza, stabilità e benessere della donna. A prezzo della sua libertà. La moglie-figlia-sorella, infatti, ben oltre il Medioevo (in Italia fino alla riforma del diritto di famiglia del 1975) era per legge sobordinata al marito-padre-fratello sia a livello personale che economico. La sua autonomia e la sua dignità erano completamente rimesse al buon cuore e al buon carattere dell’uomo che aveva accanto. Quanto è cambiato oggi? Tanto per fortuna, ma non ancora abbastanza. In troppi contesti familiari, sociali e lavorativi la donna soffre il forte retaggio culturale di quell’impostazione cancellata sulla carta (almeno nel nostro Paese). E se voi ragazze accettate oggi che fidanzati e corteggiatori paghino i vostri conti, vi aprano lo sportello o vi vengano sempre a prendere, non lamentatevi domani se i vostri compagni di vita vi lasceranno l’80 per cento o più delle incombenze domestiche. Non lamentatevi se storceranno il muso a una vostra promozione o se si sentiranno in diritto di farvi i conti in tasca. E ricordate infine che in questo caso non c’è cura possibile quando la frittata è fatta: esiste solo la prevenzione. Dunque, con le dovute sacrosante eccezioni, portate anche a tavola la parità, ricambiate ai vostri “cavalieri” cena su cena e correte a comprate la Carta2per1, che per una cifra davvero modica risolve il problema alla radice, risparmiandovi anche faticose spiegazioni dal sapore vetero-femminista.
Silvia Gusmano   
 
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L’etichetta “Prodotto di montagna” prende forma

Sono in arrivo agricoltura locale e vendita diretta?

Logo biologico: 12 stelle bianche a forma di foglia su fondo verde © UELa Commissione presenterà una serie di linee guida che definiranno chiaramente i parametri sotto i quali gli agricoltori potranno etichettare i loro prodotti come “prodotti di montagna” nei prossimi mesi. Parlando in una conferenza sul tema, infatti,  il Commissario Ciolos ha ribadito l’importanza di mantenere le comunità agricole nelle regioni montuose, sotolineando il loro contributo alla vitalità economica e alla conservazione del tessuto rurale dell’Europa. E ha anche contestato la nozione che queste aree possono sopravvivere solo se sostenute con un aiuto pubblico, chiedendo alle capitali nazionali di assisterle per sviluppare il loro potenziale in agricoltura e nel turismo. Il Commissario ha inoltre promesso di rapportarsi con il nuovo Commissario alla Salute Borg per garantire un certo grado di flessibilità agli agricoltori situati in queste regioni nell’applicazione del Regolamento UE sull’igiene. Secondo il nuovo Regolamento Qualità*(1151/2012) che è entrato in vigore il 3 gennaio, il termine “prodotto di montagna” è stato “stabilito come un parametro di qualità opzionale”. Il regolamento mostra che il termine si potrà applicare solo sui prodotti alimentari quando “sia le materie prime che i mangimi per gli allevamenti provengono essenzialmente da zone di montagna” e “in caso di prodotti trasformati, che anche il processo di lavorazione sia avvenuto in zone di montagna”. Secondo le nuove regole, la Commissione può, attraverso atti delegati, riservare nuove condizioni ed emendare l’utilizzo di quelle esistenti. Le linee guida su come la Commissione potrebbe facilitare gli agricoltori di montagna saranno sviluppate sulla base di un studio condotto dal Centro di Ricerca Congiunto sulle implicazioni economiche e il valore aggiunto di tale schema di etichettatura. Inoltre, nel nuovo Regolamento sulla Qualità, la Commissione ha il mandato di realizzare un rapporto entro i l 4 gennaio 2014 sulla fattibilità economica dell’etichettatura per l’agricoltura locale e vendita diretta per assistere  gli agricoltori che vendono localmente la loro produzione. Il prossimo anno, l’Esecutivo dell’UE dovrà presentare anche un rapporto al Parlamento Europeo e al Consiglio sulla possibilità di riservare un termine di qualità opzionale “prodotto delle isole”. Entrambi i rapporti saranno accompagnati da proposte legislative, se necessario.
*V. http://ec.europa.eu/agriculture/newsroom/100_en.htm 

Nuovo sondaggio: le aziende agricole europee e gli agricoltori continuano a ridursi di numero
Il numero delle aziende agricole e degli agricoltori in Europa continua a scendere, mentre chi resta si espande, talvolta anche oltre il 50%. E’ quanto emerge dall’ultimo sondaggio 2010 sull’agricoltura, redatto da Eurostat, come parte di un rapporto di quasi 400 pagine sullo sviluppo rurale.. I maggiori incrementi di aziende agricole e relative produzioni si sono registrati in Slovacchia (+176%), ma anche in Bulgaria (+95%) e Rep. Ceca (+71%). Il numero totale dei proprietari di azienda è sceso, così come il numero complessivo dei lavoratori.
V. http://ec.europa.eu/agriculture/statistics/rural-development/2012/full-text-en.pdf

BREVI
L’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza alimentare) cerca confermei sulla sicurezza dei dolcificanti: l’8 gennaio, infatti, ha chiesto ai produttori interessatri un feedback sulla sua ultima bozza di valutazione* sul dolcificante artificiale aspartame, il risultato della quale verrà inserito nella prima valutazione completa entro maggio.
*V. http://www.efsa.europa.eu/en/consultations/call/130108.htm
La Commissione lancia una strategia per un commercio più sicuro: una più stretta cooperazione tra UE e suoi partner commerciali, una più rapida identificazione delle reti del commercio illegale e obbligare i commercianti a pubblicare dati extra sull’offerta di prodotti – queste sono alcune delle idee chiave dell’impronta blu della Commissione* per una commercio più sicuro, pubblicate lo scorso 9 gennaio.
*Per maggiori dettagli http://europa.eu/rapid/search.htm ed inserire “IP/13/7” in “Reference

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Social Shopping: l’unione fa lo sconto

Ben prima dell’allarme Istat (“inflazione record del 3 per cento nel 2012″), lo avevamo toccato tutti con mano: il prezzo della spesa cresce di giorno in giorno e, dalla benzina al pane, non c’è più scampo per il portafogli. Che fare? Dove si poteva tagliare già si è tagliato. Molte famiglie hanno diminuito l’uso della macchina e, secondo gli ultimi dati della Coldiretti, consumano più pasta, gnocchi e uova e meno pesce, vino, frutta e carne (un toccasana per la salute nazionale). Meglio allora, cercare altre soluzioni, con un po’ di fantasia.  E farsi una cultura in tema di Share Economy o  social shopping, ossia di spesa condivisa. Ieri il Wall Street Journal ha decantato gli innumerevoli vantaggi di questa esperienza, in primis quello di un reale e consistente risparmio. Non è certo una novità. Da anni consumatori oculati e industriosi, si scambiano case-vacanze, condividono automobili e pacchetti viaggio, barattano oggetti e vestiti usati, si supportano vicendevolmente nelle incombenze quotidiane (vedi genitori disperati alle prese con figli ancora piccoli).  Da anni inoltre, anche in Italia, solitamente più pigra su questo fronte, imperversa il fenomeno dei gruppi d’acquisto. I più all’avanguardia sono in rete, naturalmente. Da Groupon a  Groupalia, da Livingsocial a Yoodeal, i siti di e-commerce collettivo si stanno moltiplicando al grido di “l’unione fa lo sconto!”. La filosofia di base è sempre la stessa: il consumatore-navigatore sceglie una proposta di suo interesse (una cassa di vino, una seduta dall’estetista, una cena per due, etc…), ma l’acquisto si perfeziona solo se si raggiunge un numero prestabilito di acquirenti (quorum) in un tempo predeterminato (24, massimo 72 ore). Parallelamente, soprattutto nel settore alimentare, continuano a fiorire i gruppi d’acquisto “non virtuali”, in cui il risparmio non sempre è l’unico obiettivo. Unirsi a condomini, amici o parenti per fare una spesa comune, infatti, consente di saltare tutta la filiera della grande distribuzione acquistando beni di qualità certificata direttamente da un produttore di fiducia. Ciò, soprattutto, se il gruppo è consistente, significa una bella sforbiciata al prezzo, ma nel caso dei G.A.S. (gruppi di acquisto solidale), significa anche maggiore attenzione alla salute (con la scelta, spesso, dell’agricoltura biologica) e rispetto di alcuni criteri etico-ambientali. Sempre secondo la Coldiretti, nel 2012 sono saliti quasi a 7 milioni gli italiani che hanno partecipato a esperienze del genere e quasi tre milioni lo fanno in maniera regolare. L’offerta non manca, bisogna solo esplorare le tante possibilità esistenti. Noi ci permettiamo con convinzione di consigliarne una ai nostri lettori laziali: si tratta della Biofattoria Solidale del Circeo (di cui prossimamente parleremo più a lungo – vedi il sito) che su Roma, consegna tre volte a settimana prodotti freschi, buoni e di ogni genere.
Silvia Gusmano

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La cucina in India

 In India le pietanze vengono servite tutte insieme ed ognuno le mescola secondo il proprio gusto (una fortuna per noi occidentali che usavamo enormi quantità di riso bianco per stemperare il piccante delle loro piatti). Gli indiani non usano le posate, generalmente, utilizzano un pezzo di pane (senza lieto, una sorta di piadina) a guisa di cucchiaio e mangiano rigorosamente solo con la mano destra. L’ingrediente principe di tutte le ricette indiane, come dicevo, è il peperoncino che unito alle spezie (cannella,  cardamomo, chiodi di garofano, coriandolo, cumino, curcuma e tantissime altre) la fa da padrone in tutte le pietanze. L’aroma che occupa un ruolo essenziale nella cucina indiana è il  curry che non è una singola spezia ma un’insieme di aromi ed è  preparato ad hoc da ogni cuoco. Anche nelle famiglie la donna ha sempre la sua ricetta personale che custodisce gelosamente. Lo stesso discorso vale per il masala, un’ulteriore miscela di spezie usate per profumare e aromatizzare gli cibi a fine cottura. Il riso è il principale alimento – tutte le strade che ho percorso, infatti erano costeggiate da coltivazioni di riso- e la qualità più usata è il profumato Basmati. Anche i legumi usati per zuppe e creme, sono molto presenti e di tantissime varietà: il toor (pisello arboreo o cece rosso), l’urad (fagiolo nero) e il mung (fagiolo verde), il khichri (un legume simile ai ceci), il chana e molti altri. Come condimento usano molto il burro chiarificato ma anche oli vegetali: l’olio di arachide e l’olio di senape. Le comunicazioni interne di questo vasto paese sono ancora difficili, di conseguenza ogni regione utilizza prevalentemente i propri prodotti, questo rende limitato il numero delle sue specialità. Ogni religione, regione o casta ha lasciato la propria influenza sulla cucina indiana, per questo sono principalmente vegetariani per influenza delle comunità Hindu e Jain. Usano frequentemente il formaggio paneer o tofu, ma non mancano i piatti a base di pollo, capra e montone e lungo le coste anche il pesce. Più raramente il maiale (vietato dai mussulmani) e mai le carni bovine. Le mucche “sacre” scorazzano allegramente in tutte le strade, anche in centro città, creando ulteriori ingorghi e file tra le innumerevoli auto e risciò, se mai ce ne fosse bisogno.
Ivana Santomo

ecco alcune ricettePALK PANEER (crema di spinaci e formaggio), Samosa di verdure, Biryani di verdure, Curry di pollo e il tarka dal (zuppa di piselli)

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Dieta post-natalizia? No, grazie.


Già solo salire sulla bilancia all’indomani dell’epifania è un atto che rasenta il masochismo. Decidere poi di passare bruscamente da un regime alimentare tutto sfizi e cioccolato ad uno di sacrifici e rinunce è follia. Eppure lo fanno in tanti. Prima – tra Natale e la Befana – giustificano le abbuffate prospettando a se stessi un implacabile digiuno di inizio d’anno. Dopo, scattata l’ora x, riempiono il frigo di cavoli e petti di pollo e, con un clamoroso autogoal, si danno la vita maledetta.  L’inevitabile fatica che accompagna ogni dieta, infatti, a gennaio si eleva all’ennesima potenza. Il primo mese dell’anno è già, di per se, una corsa a ostacoli. Il clima è rigido, le giornate cortissime,  le tasche più vuote e le prossime vacanze lontanissime. I buoni propositi di ogni sorta, inoltre, affollano le agende nuove di zecca, portandosi dietro un bel carico di stress (oltre che di entusiasmo). Perché dunque a tutto ciò aggiungere un “piatto che piange”? A sconsigliare le diete post-natalizie, oltre al buon senso, interviene quest’anno un’autorevole ricerca pubblicata sulla rivista International Journal of Obesity e condotta dall’Università di Montreal. Dopo lunghi e sofisticati esperimenti su cavie animali, gli studiosi canadesi hanno infatti concluso che dire addio a cibi grassi e ghiotti provoca uno “squilibrio psicologico” che può sfociare in ansia e depressione, ragion per cui tale scelta va senza dubbio rimandata alla stagione della rinascita, la primavera. Sulla stessa linea il Guardian che, in un post cliccatissimo, nei giorni scorsi ha definito le diete di inizio anno “una inutile tortura”. Dunque, qualunque sia la vostra circonferenza vita, se avete esagerato durante le feste, datevi una regolata, sostituite la pasta al forno con le zuppe oggi consigliate da MadamaRicetta e mettete sotto chiave i torroni avanzati, ma con molta calma. I mesi che ci separano dalla prova costume, purtroppo, sono ancora lontani.
Silvia Gusmano  

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Maccheroni addio

Oscuri presagi si addensano sui nostri piatti di pasta asciutta, sia sul fronte scientifico che su quello politico. È rimbalzata su tutti i giornali la notizia che il surriscaldamento ambientale minaccia seriamente la produzione di grano. Il Newsweek ha dedicato alla questione la sua ultima copertina, dal titolo apocalittico “The end of pasta”. Da qui al 2050, estati sempre più torride manderanno in fumo circa un quarto degli spaghetti attualmente consumati in tutto il pianeta. A meno che, naturalmente, non mettiamo un freno agli sprechi energetici. E veniamo al fronte politico. Tra i volti nuovi (davvero troppo ignoti) che hanno popolato le primarie on line di Beppe Grillo (le cosiddette parlamentarie) è comparso quello di Tony, pacioso 35enne che dal cuore della sua stanza da bagno, accomodato sulla tazza del water, annuncia il proprio programma elettorale. Prima di tutto, l’abolizione della pasta asciutta “una vergogna nazionale che mi ha fatto ingrassare 10 chili”. Sulla stessa linea, gli altri punti dell’agenda di Tony, convinto di essere eletto in Parlamento “perchè me l’ha promesso Grillo”: riapertura delle case chiuse, liberalizzazione delle scommesse clandestine etc…Il mini comizio è una palese presa per i fondelli del Movimento 5 Stelle, e non si capisce come sia finito, con tanto di logo ufficiale sullo sfondo, nell’arena delle Parlamentarie (o forse si capisce, guardando qualche altro video).  Eppure, tornando alla pasta, le intenzioni dello pseudo grillino non preoccupano meno dei dati scientifici sulla produzione del grano. In questa campagna elettorale all’insegna del paradosso, dove i peggiori incubi si stanno trasformando in realtà, non ci sorprenderebbe assistere all’ascesa di Tony, nemico giurato dei maccheroni!
Silvia Gusmano

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Il tacchino sul tetto: analisi politica in chiave “proverbiale”

I proverbi sono frutto della saggezza popolare. È vero più che mai, se massime e aforismi vengono pescati direttamente dalla tavola o dalla pancia, ossia dalla quotidiana esperienza del mangiare. L’importante è pescare bene, senza eccedere (gettando troppa carne al fuoco), citare a sproposito (come cavoli a merenda) o prendere cantonate (vedi il “passerotto in mano e il tacchino sul tetto”). Nel mondo politico, si sa, il campione indiscusso di proverbi e metafore è Pierluigi Bersani, gallina vecchiotta che indubbiamente fa buon brodo (“Nel brodo – spiegava ieri Crozza imitandolo – mica ci si entra per far l’idromassaggio, ragazzi!). I detti popolari di matrice eno-gastronomica tuttavia non calzano a pennello solo al vincitore delle primarie. Al contrario, rivelano molto su numerosi suoi colleghi, a cominciare dallo sfidante sconfitto Matteo Renzi, che per risparmiarci “la solita minestra riscaldata”, ha bruciato le tappe della sua carriera politica, preferendo l’uovo di oggi alla gallina di domani, e ora è costretto a mangiar pane e cicoria (Rutelli docet). E che dire dell’altro “giovane leder”, Angelino Alfano, che dopo aver tolto le castagne dal fuoco al cavaliere nel momento del bisogno, adesso rischia di restare a bocca asciutta? D’altronde, la mancanza di coraggio si paga e chi dorme non piglia pesci. Menomale che c’è Giorgia Meloni a cercare un po’ di adrenalina nel Pdl, insistendo con l’idea delle primarie. Berlu non è contento: per lui, abituato ad avere la botte piena e la moglie ubriaca, le donne anche in politica sono solo piacevoli distrazioni. Certo se il cavaliere, anziché piangere in silenzio sul latte versato, si presenterà di nuovo come candidato premier della destra, siamo proprio alla frutta. Spunteranno come funghi nuovi Fiorito, Polverini, Formigoni e compagnia bella. La compagnia del “piatto ricco, mi ci ficco” che “quando arriva la minestra, non c’è più sinistra e destra” (Vincenzo Marucci, ex capogruppo Idv alla regione Lazio e accanito giocatore d’azzardo docet).  Ma non scadiamo nell’antipolitica. Esistono anche partiti che dopo il magna-magna, sembrano tornati sulla retta via. Vedi la lega di Bobo: niente più trote all’orizzonte e Bossi, rassegnato all’evidenza degli scandali durante la sue gestione, che ingoia il rospo (il diavolo, si sa, fa le pentole, ma non i coperchi). Di fatto però, l’ottimismo non ha molta ragion d’essere. Probabilmente il governo tecnico non arriverà a mangiare il panettone e la riforma della legge elettorale, tra chi la vuol cruda e chi la vuol cotta, rimarrà solo una chimera. Così tra un paio di mesi potremmo ritrovarci a votare col vecchio Porcellum metafora emblema dell’attuale classe dirigente. Amen. “A proposito di politica – diceva Totò – ci sarebbe qualcosa da mangiare?”
Silvia Gusmano

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Un successo, comunque vada

Ancora una volta il popolo riporta in prima pagina la Costituzione: “La sovranità appartiene al popolo”. Quattro milioni di italiani si sono messi in coda, certificato elettorale e documento alla mano, hanno fatto lunghe file per esercitare il loro diritto. E’ stata una giornata bellissima che ci riscatta e ci purifica, ci rende l’orgoglio di essere italiani, dopo le offese e le umiliazioni che parte della classe dirigente di questo Paese ci ha inflitto, abbiamo dimostrato che non siamo tutti uguali. Una vittoria che prescinde dal vincitore. L’unica certezza: gli sconfitti, coloro che cavalcano l’antipolitica fine a se stessa.
Ivana

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Temple Bar Market: una piazza di cuccagna nel cuore di Dublino

È noto: il modo migliore per conoscere una città è dimenticare la guida in albergo e perdersi nei suoi meandri. Sabato scorso ne ho avuto conferma a Dublino scoprendo, per caso, il mercato biologico di Meeting House Square. Infreddolite e deluse, con la mia compagna di viaggio, giravamo di prima mattina per Temple Bar, quartiere famoso per la vita notturna, ma decisamente poco interessante alla luce del sole. Soprattutto se il vento fischia forte e le mani si gelano nonostante i guanti. All’improvviso dal fondo di una scala stretta e buia è giunto a rinfrancarci un caldo profumo di coccole e delizie. Uno di quei “fuori programma” da cogliere al volo. E così abbiamo scoperto il Temple Bar Farmers Market, un tripudio di specialità irlandesi biologiche, provenienti da Dublino e dintorni. Ce n’era per tutti i gusti: carne cotta sul momento, pesce crudo o scottato sulla piastra, dolci, torte e muffin d’ogni sorta, formaggi, salumi e prodotti di gastronomia, oltre, naturalmente, a diversi banchi di fiori,  grande passione degli irlandesi. Pochi i turisti in giro, tanti i locali dediti alla spesa settimanale: il posto ideale per chi vuole farsi un’idea “oltre la guida” di questa strana città, tanto accogliente, quanto anonima, più vicina ad un allegro paesone di provincia che ad una capitale europea.  Passiamo dunque ad assaggiare e mentre cuochi e produttori orgogliosi ci spiegano metà in inglese e metà in gaelico cosa stiamo gustando, rivalutiamo Temple Bar e il suo spirito d’iniziativa. Dulcis in fundo, scopriamo la fonte dell’invitante profumo iniziale: succo di mela, cannella e spezie varie mescolate in una bevanda fumante, servita al bicchiere. È l’Orchard Glow, un caldo abbraccio nel cuore di Dublino.
Silvia Gusmano
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La religione a tavola: a Roma quattro incontri sul rapporto tra cibo e fede


Guardare nel piatto altrui – comportamento severamente ammonito fino a un paio di generazioni fa – la dice lunga su stile di vita, abitudini e gusti del commensale. E non solo: può rivelare molto anche sul credo religioso dei singoli individui o di una collettività. Le psicologhe Grazia Polimeni e Stefania Traina, esplorano questo territorio proponendo, dal 20 novembre al 5 febbraio,  a Roma, un percorso di quattro incontri su cibo e religione (cibo e buddismo, cibo e cristianesimo, cibo e islamismo ed cibo ed ebraismo). “L’alimentazione – si legge nel loro progetto – definisce la nostra identità personale, culturale, etnica e religiosa”. E ancora: “Trasformare il cibo in simbolo del sacro, diventa il criterio per leggere nel visibile i segni dell’ineffabile e del divino “. Sicuramente in un continente laico e materialista come il nostro, è difficile cogliere la portata di questa verità. Tutti sanno che la celebrazione dell’Eucaristia, ossia la trasformazione del pane e del vino in corpo e sangue di Dio è un momento fondante del Cristianesimo, ma la maggior parte ne fa esperienza solo occasionale – funerali, matrimoni, battesimi…- e senza alcuna partecipazione emotiva. Quanto ai precetti previsti dalle Scritture – il digiuno del venerdì, l’astinenza quaresimale dalla carne – è sempre più raro trovare qualcuno che li rispetti e quei pochi che lo fanno tendono a tenerlo per sè, temendo di essere bollati come bigotti o antiquati. In altre parti del mondo o in altre culture, è molto differente. Le regole religiose  in tema di alimentazione sono numerose e ancora largamente rispettate. Dal divieto di consumare maiale e bevande alcoliche degli islamici, alla cucina kosher  degli ebrei, dal digiuno del Ramadan alla scelta vegetariana dei monaci buddisti, la religione spesso occupa a tavola un posto d’onore. E dietro ogni regola, come sempre, c’è una spiegazione non solo di natura spirituale, ma andando indietro nel tempo, anche di natura pratica e organizzativa. Da qui l’idea di promuove un ciclo di incontri che indaghi lo stretto rapporto tra spirito e gola, offrendo di volta in volta ai partecipanti l’occasione non solo di ascoltare dei seminari sul tema, ma anche di degustare differenti cucine. Prevista infatti la presenza di cuochi “specializzati” che oltre a preparare piatti esemplari, riveleranno ai partecipanti i “segreti spirituali” delle loro ricette.
Per info: 338 5407534; 3397503141
Silvia Gusmano

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Madama Ricetta nasce all’ombra del Senato dall'alleanza di tre colleghe ... leggi la storia

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