Il cappuccino di Buenos Aires

Il cappuccino di Buenos Aires

Fare quattordici ore e mezzo di volo transoceanico, scendere acciaccati (e quasi sconfitti) dalle poltrone del velivolo, mettere i piedi in terra e chiedere un cappuccino: che senso ha arrivare fino a Buenos Aires e pretendere quello che qualsiasi bar italiano offre in qualità notoriamente ineguagliabile? Eppure, fidatevi, l’esperienza merita. Solitamente servito in eleganti bicchieri lunghi e trasparenti, più o meno sinuosi, forniti di manico, il cappuccino di Baires è un mix di ingredienti, quasi un cocktail: caffè (più lungo all’americana che espresso all’italica maniera), cacao, zucchero, cannella e tanti ciuffetti di saporitissima panna. Il prezzo (variabile, come in tutte le grandi città del mondo) include anche un piccolo bicchiere d’acqua (rigorosamente frizzante; a volte affiancato da un bicchierino di succo d’arancia) e dei dolcetti. Biscottini al cocco, allo zucchero nero, alle spezie, barchette di pasta frolla, graziosissimi amaretti in formato mignon. Come noto, bar e caffè occupano un posto speciale nella quotidianità e nella cultura di Buenos Aires. Cantati in testi pop e tanghi, con i loro interni suggestivi composti da pannelli in legno, rifiniture in ottone, piani in marmo e l’inconfondibile sottofondo, sono popolati a ogni ora del giorno, riportando a un’epoca mitica in cui artisti, scrittori, musicisti e intellettuali erano soliti discutere le loro idee proprio davanti a una tazza di aromatico caffè. Il nostro preferito – per cappuccino, atmosfera, banconi, graffiti alle pareti, collocazione sulla mappa geografica, grado di intensità del tango di sottofondo e gentilezza dei camerieri – è il Bar San Telmo su Plaza Dorrego. Ve lo consigliamo il sabato, in tarda mattinata: la piazza non è ancora “sconvolta” dal mercato di antiquariato e artigianato che lo travolgerà la domenica (la Feria de San Pedro Telmo, quando tutta la zona diventerà area pedonale), ma i banchi iniziano a costruirsi. L’atmosfera e il gusto ci sono tutti. E anche un tavolino libero.
Giulia Galeotti

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